Lungo una strada nella città di Siem Reap, in Cambogia, un gruppo di musicisti Khmer incalza da ore melodie etniche liquide, guizzi di magia, chiaroscuri sonori, contrappunti ritmici delicati. Suonano incuranti del frastuono artificiale che proviene dagli impianti stereo  sfondati e gracchianti dei vicini bar che diffondono canzoni americane commerciali ad altissimo volume, rendendo quasi indistinguibili le musiche raffinate e pizzicate dei loro strumenti di legno di sandalo, corde intrecciate e mani sapienti. Stanno accovacciati su una predella, giù in fondo a Pub Street. Sono tutti mutilati alle gambe dalle mine, con l’unica colpa di essersi trovati, in quel momento, nel posto decisamente più sbagliato.

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Per suonare i loro incantevoli brani avrebbero potuto sistemarsi in un spazio più comodo ed appartato, lontani dalla confusione ma non lo hanno fatto. Loro, in questo luogo, c’erano già. Prima dell’insensata guerra, degli ordigni inesplosi prima degli elicotteri Bell UH-1  e dell’America che fa paura. Loro c’erano. Più di mille anni fa_

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Ivo Stelluti

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