“Che ci sia acqua per tutti quelli
che come te vanno per deserti”
– Le Luci della Centrale Elettrica –

Tel Aviv Airport, ore 16:10.
Sabbia e sale sui suoi sandali strappati.
Joseph è trepidante: non vede suo figlio da quasi 6 anni, da quando, dopo la Terza Intifada ha voluto andare “in esilio forzato”, come dice lui.

“In Italia! Per capire l’Arte. La Cultura, la Poesia! Non ne posso più della vostra assurda guerra!” Aveva annunciato quella mattina, sbattendo la porta di casa, dopo il ṣalāt al-fajr, la preghiera dell’alba.

Inutile fermarlo con l’autorità che, secondo la tradizione, un vero padre di famiglia dovrebbe avere in questi casi. Al posto suo, lo avrebbe fatto anche lui. Sarebbe scappato da quell’inferno, se avesse ancora avuto una strada davanti ancora da percorrere.
Ora è lì che aspetta: ha in mano il foglio con l’ultima e-mail che risale soltanto a qualche giorno fa. Gliel’ha mandata suo figlio, riporta le indicazioni del volo.

Nabil sarebbe arrivato con l’aereo delle 16:20 da Roma; pochi minuti e lo avrebbe visto comparire dalla scala mobile del Gate n. 8, con l’inconfondibile custodia nera della sua chitarra. Avrebbero bevuto un caffè accanto alla grande fontana, nella sala d’attesa del Terminal, gli avrebbe parlato con calma, cercando di convincerlo a restare nel Paese dove era nato.

“Discendiamo dalla millenaria tribù dei Quraysh, alla quale si dice che sia appartenuto anche Maometto! La nostra battaglia si può combattere soltanto dall’interno del sistema. Solo restando qui si possono cambiare le cose: da lontano non puoi sperare di contribuire alla liberazione della Palestina! Gerusalemme sarà pure una città “in piena disarmonia”, come dici tu, ma è stata nell’antichità il Centro del Mondo, il punto d’unione tra Asia, Africa ed Europa e può ancora essere esempio di confronto e unione tra le culture. Non troverai in nessun luogo una città così ricca di diversità, dove la tua arte si possa esprimere al meglio…”

Joseph era stato un funzionario dell’ONU. Aveva speso la propria vita per i diritti del suo popolo ma, a causa delle sue dichiarazioni a Radio Al Jazeera, era stato arrestato. Una volta rilasciato però, aveva dovuto abbandonare il suo incarico. Ora tirava avanti con la pesca, come suo padre e il padre di suo padre.

Il mare davanti a casa sua, a Gaza City oggi è molto inquinato. Gli impianti di depurazione sono stati bombardati dall’esercito israeliano e i collettori fognari scaricano direttamente in mare.

Un giorno Joseph, con il suo modesto peschereccio, si era spinto molto al largo sperando di intercettare le nuove rotte di sgombri e tonni. Le autorità dello stato di Israele avevano dato l’ordine di sparare sulle imbarcazioni che si spingevano a più di tre miglia dalla costa in territorio palestinese: la sua barca era stata attaccata e nonostante i suoi uomini avessero rischiato la vita per difenderla, aveva subito parecchi danni.
Questo avrebbe raccontato Joseph a Nabil, perché si convincesse a lottare per la loro causa.

FINE PRIMA PARTE

Il Viaggiator Curioso,
Tel Aviv Airport, Israel,
27 aprile 2014.