Milano – Con incisivo significato si concluderà la sera dell’8 marzo al Museo del Novecento di Milano la mostra organizzata con vibrante competenza da Giovanna Ginex e Danka Giacon a ricordo di Adriana Bisi Fabbri. Non sono in tanti – credo – a conoscere questa autentica artista nata a Ferrara nel 1881 e scomparsa nella casa di famiglia dell’amico giornalista Enrico Somarè a Travedona di Monate nel 1918. Morta di tisi, ma non dobbiamo immaginarla come una Violetta Valery della Traviata; infatti negli Autoritratti sembra proprio una donna energica e fiera, pronta a rivendicare la sua libertà e a vivere la vita con grande passione.
Fin da giovane si sentì portata all’arte e al disegno ( per riuscirci dovette adattarsi a fare la sarta e la ricamatrice) e non l’abbandonò più, rimanendo anche in questo campo libera e indipendente. Dunque, per esempio, niente futurismo, anche se era seconda cugina di Boccioni; piuttosto “Nuove Tendenze”, gruppo certo moderno, ma che non voleva essere incomprensibile ad oltranza né, tanto meno, “profanare per puro capriccio di novità il senso estetico dei più”, come tenne a scrivere Ugo Nebbia, presentatore dell’unica mostra dell’eterogenea compagnia alla Famiglia Artistica di Milano, nel 1914.
A sostenere e a stimolare Adriana contava poi la figura del marito, Giannetto Bisi, giornalista e scrittore, anche d’arte, e intorno alla coppia non mancava un giro di intellettuali, di artisti, finanche di politici, tutte persone di spirito libero, di buona cultura e partecipi al fervere delle svariate esperienze europee di primo Novecento. La Bisi fu coinvolta in prima persona in questo fervido ambiente e seppe dimostrarlo proprio nei suoi lavori. Non solo nelle grandi tele coi ritratti che vanno dritti al segno, ma anche nelle tante, tantissime illustrazioni che disegnò, sempre con mano sicura e penetrante, per svariate riviste come il “Giornalino della Domenica” o il “Popolo d’Italia” appena fondato da Mussolini, e ancora per
manifesti e cartoline pubblicitarie o per le vignette destinate a riviste satiriche. E, quando sarà la guerra, non si tirò certo indietro ed ecco quindi graffianti disegni, almeno finchè la tragedia non si rivelò tale e allora prese a dominare in essi la figura incombente e ossessiva della morte. Per inciso mi par giusto a questo punto segnalare il documentato saggio (“La prima guerra mondiale nelle illustrazioni della pittrice Adriana Bisi Fabbri”) dedicato daMarco Tamborini proprio a questo suo momento creativo e apparso sull’ultimo numero della “Rivista della Società Storica Varesina”.
Il catalogo della mostra, dal titolo ben scelto “L’intelligenza non ha sesso. Adriana Bisi Fabbri e la rete delle arti 1900-1918”, si incarica invece di guidare, e illuminare, grazie al prezioso materiale documentario pervenuto al Museo dal fondo Bisi-Crotti, non solo la creatività
inesausta dell’artista, ma anche le occasioni di conoscenza e i nodi di amicizia della coppia. A visionare queste carte nelle vetrine della mostra – ci vuole tempo e attenzione, ma ne vale la pena – si può cogliere davvero la vita febbrile e anticonformista (anche se non sempre o troppo) di questo vasto giro di persone non ricche di soldi ma di idee, e soprattutto di lei, l’Adriana, anzi l’Adrì come si firmava, pronta e decisa a far rivivere sollecitazioni così intense e nuove, fermandole nella sua arte sempre ricca di risorse e di fascinosa suggestione.
Giuseppe Pacciarotti