Sarà Flavio Caroli, storico dell'arte e docente universitario, a guidare, come presidente, la Fondazione Zanella di Gallarate. E questo, nella velocissima e svalutata comunicazione, non è più notizia.
Più interessante ripercorrere, come antidoto alle amnesie storiche, la vicenda recente in quel del Museo Civico.
In poco meno di un quinquennio, capovolgimenti di rotta, grandi successi di pubblico, smentite e mugugni di diverso colore politico si sono avvicendati nel museo cittadino che ha cambiato non solo sede e nome, ma anche ragione sociale. Era comunale, ora è gestito da una Fondazione, di cui il Comune è socio col ministero dei Beni culturali e alcuni partner istituzionali e privati.
Oggi Flavio Caroli figura certamente nell'Olimpo dei critici d'arte più mediaci come Philippe Daverio e Vittorio Sgarbi. Nomi che, per un verso o l'altro, sono stati tangenti – o qualcosa di più – al Museo di Gallarate.
Era il 2007 quando l'ex Sindaco Mucci aveva in mente di accreditare l'allora Gam tra le gallerie dei "quattro motori" d'Europa (Catalunya, Rhône-Alpes, Baden-Württemberg), chiamando, come "consulenti vip" del comitato scientifico-mediatico, Vittorio Sgarbi e Philippe Daverio (il fascino degli opposti, verrebbe da dire).
L'obiettivo? Abbassare i costi di gestione e aumentare il livello qualitativo delle mostre.
L'allora Fondazione era ancora "costituenda" e la grande vela di mattoni rossi di via De Magri in via di rifiniture.
In quei tempi, l'assessore alla cultura era Raimondo Fassa e il Presidente della Commissione Cultura, Alessandro Petrone.
E così si parlava di "asse culturale Milano-Gallarate".
Passa l'estate del 2007 e l'inaugurazione della nuova, bellissima struttura deve ancora aspettare. Ma i lavori proseguono, con non pochi straordinari. Intanto il solo nome rimasto in lizza come consulente esterno per il comitato scientifico museale è quello di Daverio. Incarico che arriva nell'autunno.
Ma veniamo al capitolo mostre: si affaccia l'idea di un
qualcosa che nasca sotto l'immenso e lombardo astro di Leonardo che, per via diretta, scende giù, giù fino al Piccio e a Segantini. Questa era l'antropologica via, proposta da Daverio, da intitolarsi "Terra Insubre".
E invece no: una pioggia di consensi e di successi arriva per l'azzeccata "Trame di Penelope".
Intanto, si avvicendano cambiamenti complessi che mettono in gioco equilibri, appetiti, aspirazioni e dubbi sullo spostamento della sede museale. E qualche capovolgimento. Poi anche le cariche e gli avvicendamenti politici fanno il loro corso.
Su un red carpet hollywoodiano arriva la sera di gala del marzo 2010: apre la nuova, sfavillante sede del MAGa, l'acronimo furbo che strappa un sorriso e si lascia memorizzare facilmente. Modigliani, l'arte dei camaleontici anni '80 e Giacometti. Ormai è cronaca.
I fatti si rincorrono con accellerazione e valzer di cambi ai vertici.
Ma il primo capitolo di questa storia è negli anni '50, quando Silvio Zanella inventò il Premio d'arte Gallarate.
Oggi si sa che le grandi mostre che fanno numero e cassa devono convivere con quelle di ricerca.
E non va dimenticato che sono due le anime che storicamente battono nel cuore del MAGa. Una più sensibile alle radici, alla conservazione e all'incremento della preziosa collezione permanente, l'altra agli eventi di arte attuale, a proposte alternative e di frontiera. Per ora in fecondo connubio, sebbene scrutandosi con qualche sospetto.
Tuttavia lascia perplessi la spasmodica ricerca del vip. E l'idea che vede un museo solo uno sforna-mostre.