«Il mondo è un libro e chi non viaggia ne legge soltanto una pagina» diceva Sant’Agostino, che aveva percorso in solitaria tutta la Numidia per cercare di appianare l’eterno dissidio tra ragione e sentimento.
Io, il Libro del Mondo, lo voglio leggere tutto, fino all’ultima pagina. Sono qui per questo.
La frontiera di Ressano Garcia è un aggrovigliarsi di furgoni marci, ruggine, divani legati sul tetto, corpi appisolati, copertoni consumati, cassette di frutta e desideri di libertà.
Il tutto racchiuso in un intervallo di tempo afoso, sospeso e ammassato che può durare ore, forse giorni.
Mi si avvicina Chico, uno dei ragazzi che, per pochi soldi, cercano di farti ottenere il visto per passare il confine, tra il moderno Sudafrica e la disperazione rassegnata del Mozambico.
Lo osservo interpretare il mio sguardo incredulo, di fronte alle centinaia di persone che si accalcano davanti all’unico funzionario, accaldato ed indolente.
«Questa è frontiera,» mi confessa all’orecchio «qui si cerca la libertàaa! Libertàaa è la prima cosa. Ormai io conosce la vita. La vita è senza preocupasione. Se hai preocupasione prima cosa è: tu parla. Ogni cosa HA suo tempo. No te preocupe: Tu vai in Mozambico. Tu sei turistas, es qui per ferie. Tu, mezz’ora e sei fuori di qui. Io ti aiuta!».
«Loro NO», indica con il dito la coda sterminata in ingresso verso il Sudafrica «loro restano. NO hanno permesso. La guardia li manda indietro. Tutti. Anche io sono scappatto. C’era la Guerra Civìl. Ho viaggiatto in tutta la Europa e anche in la Italia. Ma poi sono tornatto. La mia casa è mare. È qui. È Mozambico! Ogni hombre es una storia. Ascolta la nostra historia. Qui se atendeel cambiamento. Voi in Europa avete già fatto el cambiamento. E siete ancora lì a pensare cosa fare, dove andare. Non avere la PAURA, allora, sciogliti e balla questa Musica!» e indica un ammasso di cavi che occupano metà del cruscotto della sua macchina, dal quale proviene un suono ritmato in levare quasi indistinguibile.
«Mandela ha detto che devi essere libero! E tu SEI libero, fratello! Prendi questo foglio, il tuo passaporto e vai! Il mare più belo do u mundu ti aspetta!»
Chico mi accompagnerà per tutto il viaggio. Lo incontrerò sulla pista che porta al villaggio di Biblene: sarà il pescatore che si propone per poche monete di cucinare a casa sua il pesce che ho comprato al MercadoMunicipal.
Lo riconoscerò nel ragazzo che vende le maschere di legno intagliate a mano, sulla spiaggia di Bazaruto. Quello che mi guarderà con infinite domande negli occhi che non potrà mai pormi perché non parla una parola di inglese, portoghese o qualsiasi altra lingua io possa anche sommariamente comprendere. E la moneta che gli darò, sarà quel filo sottile tra povertà e improvvisa fortuna.
Lo troverò al mio fianco ovunque mi fermerò, in tutti i grappoli di case più sperduti, gli darò un passaggio, mi indicherà con la mano l’unica pista percorribile, lo troverò nel Centro di Cooperazione e Sviluppo, con il suo sorriso a trentanove denti, mentre distribuisce cibo e bevande ai suoi fratelli, nell’ospedale da campo, medica le ferite delle mine e ruba un po’ di bende, da portare chissà dove.
«Andiamo verso il centro del villaggio, cerchiamo qualcosa da mangiare: offro io!» lo invito un giorno per ringraziarlo della sua impagabile ospitalità. Mi fa capire che QUESTO è il centro del villaggio: quattro capanne, due palme, una signora all’angolo che vende benzina nelle taniche, il pozzo per l’acqua e di fronte, a pochi metri, la spiaggia più eterea, serena e maestosa che io abbia mai visto.
«Per cambiare direzione non serve tornare indietro. A volte basta solo prendere una strada nuova» È l’ultima frase che mi suggerisce, accompagnandomi verso l’aeroporto.
Sono in ritardo come al solito. Metto la freccia e accosto. Chiedo la strada più veloce per il terminal e lui subito sale in auto, fornendomi appassionatamente tutte le indicazioni per non perdermi, in modo da arrivare in tempo per il volo. Non mi lascia finché non è proprio sicuro di avermi portato nel posto giusto: il parcheggio dell’autonoleggio del Terminal 1 dell’Aeroporto Intercontinentale di Johannesburg. Mi ha dedicato più di un’ora del suo tempo. Senza aspettarsi nulla in cambio. Poi mi ha sorriso un’ultima volta e se ne è andato per la sua strada.
«Ora ricordo dove ti ho visto.» Siamo sulla spiaggia di Vilanculos, una settimana prima del mio ultimo giorno africano. Il tramonto ci ha lasciato da un pezzo. La notte in Africa è buia davvero: niente elettricità nelle case, niente illuminazione per le strade. Chico sbuca da un cespuglio, mi corre incontro, insiste perché scatti una fotografia con lui. La vuole subito rivedere, poi mi guarda con la faccia delusa: «non si vede niente!» dice sottovoce, quasi per non offendermi.
Il flash della mia reflex non è scattato e la sua pelle d’ebano scuro non si distingue per nulla dallo sfondo di tenebra dell’immagine. Nella foto si scorge soltanto il mio viso pallido, con accanto le due palline bianche dei suoi occhi allegri. Poi tira fuori dalla tasca il suo I-Phone taroccato e dice: «prova col mio, ha dieci megapixel!…»
Questo intero continente ha una gran voglia di risollevarsi, di allinearsi, di imitarci.
Sarebbe splendido se riuscisse ad apprendere dall’occidente soltanto quel che c’è di positivo, lasciando a noi la corruzione, la plastica, l’arricchirsi ad ogni costo, l’invidia, l’impazienza, i codici a barre, la vanità, il Mc Donald e andate pure avanti voi con l’elenco.
Ho bisogno di stare qui ancora un po’. Invece ho un aereo che mi aspetta tra quattro giorni. Tra milleduecento chilometri di foresta.
Nomadismo esplorativo: ecco da cosa sono affetto. Il vero viaggio è ricerca pura, improvvisazione, lasciarsi travolgere da ciò che incontri, assorbire l’essenza della Natura, farsi guidare soltanto dalla Musica. Scriverò una “Balada de Amor ao Vento”, per chi prende il largo, con coraggio, senza sapere esattamente la distanza da percorrere, per chi trova i sentieri ma non conosce la fatica di inseguire le tracce, per coloro che non ne hanno abbastanza e vogliono imparare, scoprire, navigare ancora.
Non ce la faccio a riprendere la strada di casa. Voglio respirare ancora un poco di quest’aria tersa, incontrare gente non ancora inquinata dall’ossessione del guadagno facile, dal flagello del turismo insostenibile e da tante altre amenità.
Vorrei che restasse così, questa terra, per qualsiasi viaggiatore riesca ad arrivare fin qui: una lingua di sabbia che la marea tiene con sé qualche ora per poi lasciarla riemergere, lentamente, in tutta la sua immacolata bellezza.
Ed è ancora vita quella che sto assaporando, è mare che si nutre di cielo, è tutto quello che non riuscivo nemmeno più ad immaginare. È Africa. «Boa Viagem, irmão.Buon viaggio, Fratello.» mi canta Chico, dal vetro dell’aeroporto, salutandomi con la mano.
Ivo Stelluti, il Viaggiator Curioso,
Sudafrica – Mozambico, 6 agosto 2014.