Presentazione pubblica – Si è svolta nel pomeriggio di lunedì 4 maggio la presentazione dei restauri della Cappella Maggiore del Sacro Cuore, che conserva sculture a bassorilievo di Giacomo Manzù. Alla presenza del Magnifico Rettore dell'Università, Lorenzo Ornaghi e del Ministro per i Beni e le Attività Culturali Sandro Bondi, Vittoria Castoldi e Gabriele Schiatti hanno presentato i risultati del restauro della Cappella, centro simbolico dell'Ateneo milanese. "L'architettura – ha spiegato Schiatti – è di mano di Giovanni Muzio, impegnato – su incarico dell'allora Rettore d'Ateneo, Padre Gemelli – nel restauro e conversione d'uso dell'ex-monastero di Sant'Ambrogio, diventato successivamente sede dell'ospedale militare. Gli elementi fulcro attorno ai quali ruota il progetto del Muzio sono i vicini Chiostri Bramanteschi e la Cappella del Sacro Cuore che si collega idealmente e concretamente con i collegi universitari. Qui, come in altre realizzazioni di Muzio, prevale l'uso del mattone rosso a vista, in sintonia con i tipici materiali dell'architettura lombarda". L'intervento conservativo nella Cappella ha comportato anche il rinnovamento del presbiterio. Fatti salvi, per ragioni storiche, l'altare e il ciborio disegnati nel 1932, lo spazio liturgico è stato dotato di mensa e ambone nuovi, in pietra rosa di Gerusalemme, progettati dall'architetto Giovanni Leoni sviluppando le indicazioni lasciate da padre Costantino Ruggeri poco prima della scomparsa.
Vero aspetto – "Sulle superfici parietali della Cappella – ha continuato Vittoria Castoldi – è intervenuto, a partire dal 1932, Giacomo Manzù che si è occupato anche della decorazione ad altorilievo delle colonne della cripta e dell'arredo liturgico, realizzando un calice modellato a sbalzo. Lo scultore collocò alle pareti del piccolo tempio quattro bassorilievi rappresentanti l'Immacolata Concezione, San Giuseppe, San Francesco e Santa Margherita Maria Alacoque. Il restauro ci ha restituito grandi scoperte: le figure dei quattro santi sono modellate in cemento e, a seguito di un'adeguata pulitura, ne è stata recuperata l'originale policromia che simula la terracotta, impreziosita da lumeggiature verdi e blu. La scelta di prediligere per una così prestigiosa commissione un materiale semplice, di uso comune e non prezioso come poteva essere il marmo, si spiega anche alla luce della vasta sperimentazione sui materiali che l'artista andava conducendo in quel periodo. I bassorilievi delle lunette, collocate a livello delle originarie finestre, illustrano un repertorio di raffigurazioni di ispirazione paleocristiana e recano la firma del grande scultore. Il restauro, inoltre, ci ha rivelato che le lunette non sono state realizzate a stampo ma sono state modellate da Manzù in situ".
Affondi storici – "Il dibattito a proposito di un'arte "sacra" e "contemporanea" nei primi anni Trenta" è il titolo dell'intervento di Francesco Tedeschi che ha aperto la tavola rotonda proseguita nel pomeriggio. "La riflessione sull'arte contemporanea è molto presente negli scritti di G. B. Montini, a proposito della necessità di un rinnovato coraggio da parte della committenza. Coraggio che non va e non può essere interpretato come azzardo o spericolatezza, ma come confronto e dialogo con il magistero della Chiesa. Il campo dell'arte sacra viene esplorato, ad esempio, da grandi protagonisti del XX secolo, come Severini, Dottori e soprattutto Arturo Martini. È di quest'ultimo, il grido: "Date fiducia agli artisti!". Secondo lo scultore, proprio la mancanza di fiducia nei confronti dell'arte moderna ha bloccato il dialogo con la committenza ecclesiastica e impedito la collaborazione. La Chiesa, secondo Martini, sarà ancora committente di straordinari capolavori, come lo fu nel passato, se sostituirà la fiducia al dubbio, capace di generare solo mediocrità. Già Papa Pio XI nel 1932 scriveva: "Tante opere d'arte, indiscutibilmente e per sempre belle (…); opere nella quasi totalità così profondamente ispirate al pensiero ed al sentimento religioso, da farle sembrare, ora, come fu ben detto, delle ingenue e fervorose invocazioni e preghiere, ora dei luminosi inni di fede, ora delle sublimi elevazioni e dei veri trionfi di gloria celeste e divina; tante e tali opere ci fanno (quasi per irresistibile forza di contrasto) pensare a certe altre così dette opere d'arte sacra, che il sacro non sembrano richiamare e far presente se non perché lo sfigurano fino alla caricatura, e bene spesso fino a vera e propria profanazione". Tra riprese e abbandoni, posizioni discordanti e nuovi apporti, la riflessione sull'arte sacra contemporanea è proseguita fino al memorabile "Messaggio agli artisti" di Papa Paolo VI nel 1965".
La maladresse, ovvero lo stupore – Cecilia De Carli, nel suo intervento, ha messo l'accento sul rapporto architettura-scultura nel lavoro di Muzio e Manzù. Una sincera condivisione di intenti motivarono la scelta di Muzio di chiamare lo scultore bergamasco (che allora aveva solo 22 anni) per realizzare interventi scultorei nell'Ateneo. "L'uso vibrato delle superfici murarie, tipico di Muzio – ha evidenziato la De Carli – si combina con lo stile ieratico dei quattro rilievi scultorei di Manzù, collocati su plinti lievemente aggettanti". "Fu Jacques Maritain – ha proseguito Eleonora Pontiggia – che nel suo Art et Scholastique, delineò il concetto di maladresse, che noi potremmo tradurre con imperizia, essere maldestri. Il celebre filosofo francese, allievo di Henri Bergson, e convertitosi al cattolicesimo, scrisse che "il valore spirituale può passare attraverso il segno maldestro" e propose un'arte "allieva di Dio, animata dalla semplicità e dall'innocenza". Ben lontana dalla sciatteria o dall'arrogante approssimazione, la maladresse di Maritain indica lo spazio della poesia, dello stupore e dell'immediatezza, che fa dimenticare i dettagli imperiti degli artisti. Questi concetti percorrono anche l'orizzonte culturale della Milano degli anni Trenta, dove alcuni autori non ricercano più l'esattezza grammaticale a tutti i costi, ma si abbandonano a licenze poetiche, alla semplicità di "un'arte vestita di sacco". Questo è chiaramente visibile nell'opera di Manzù, in certe sue "scorrettezze anatomiche" e nel suo approccio al tema sacro interpretato in chiave umile e quotidiana".
Confronti e committenze – "Proprio per questo – così iniziava l'intervento di Luciano Caramel, letto al pubblico presente da Tedeschi – l'interesse degli interventi di Giacomo Manzù nella nuova sede dell'Università Cattolica non è circoscritto alla storia dello scultore, della cui prima maturità artistica essi sono peraltro un episodio rilevante, e neppure solo a quella della scultura. Nei caratteri formali e iconografici, quelle opere si pongono infatti come un caso esemplare, per il tempo in cui furono realizzate, ma con aspetti che lo travalicano, nel solco del dialogo tra arte, spiritualità e sacralità. Così padre Gemelli, che dovette avvertire la cifra anticlassica e medievaleggiante di Manzù, fu partecipe di una situazione propositiva a Milano, che coinvolgeva attorno alla tematica sacra, anche il critico Edoardo Persico. Quanto alle modalità e al contesto in cui realizzò i suoi interventi in Cattolica, Manzù rispose a una commissione "di servizio" cultuale. Ed in almeno due casi – le porticine dei tabernacoli della Cappella Maggiore e di quella di san Giuseppe – la funzione è strettamente connessa all'eucarestia, centro dell'assemblea dei fedeli e della liturgia cristiano-cattolica. Sicuramente ci fu un progetto iconografico, che è legittimo attribuire a padre Gemelli e ai suoi più stretti collaboratori, in primis monsignor Francesco Olgiati. Né dovettero mancare interventi dei committenti durante e dopo l'esecuzione dei lavori, anche se la scarsissima documentazione salvatasi dai bombardamenti del 1943 offre solo indicazioni indirette".