La mostra di Venezia, ideata insieme con Silvio Fuso, si snoda negli ampi spazi del piano terreno di Ca' Pesaro. Quali sono le linee guida dell'allestimento?
L'esposizione trova spazio in un Museo classico, pensato per ospitare grandi collezioni. Il percorso prende avvio dal grande androne del Longhena, passando dal cortile interno, fino a raggiungere le sale espositive dove sono collocati – oltre ai lavori di grandi dimensioni – progetti, architetture e oggetti di design. Oltre 60 lavori tra opere d'arte, architettura e design – tra cui 34 sculture e strutture da parete, realizzate dal 1978 al 2008, tutte rigorosamente in legno laccato bianco e nero. Avevo previsto anche un intervento sulla facciata di Ca' Pesaro: un dialogo parallelo tra architettura classica e contemporanea (con la riproposizione fotografica della facciata di un edificio commerciale tedesco). Sarebbe stata una realizzazione particolarmente significativa, vista la concomitanza dell'esposizione con la XI Biennale d'Architettura, ma il progetto, che era stato approvato, non è stato realizzato per difficoltà nel reperire i fondi. Dopo la "stagione veneziana", per la quale la rassegna è stata progettata, le mie opere faranno tappa nel febbraio 2009 a Norimberga, al Museo Nazionale d'Arte e Design.
Nella presentazione della mostra di Venezia è scritto "Tutta l'esposizione ha la caratteristica e il concetto di "opere, idee e prodotti" di architettura".
Sono convinto che l'architettura raggiunge il suo valore più alto quando è fruibile nella quotidianità, quando estetica e calcolo delle costruzioni creano luoghi abitabili. Uno dei pannelli in mostra riproduce due mie sculture che si stagliano su un orizzonte urbano dell'Australia, come due grattacieli. Tutte le mie opere d'arte nascono "sotto il segno dell'architettura" e anche il settore del design in gran parte può definirsi un'architettura dell'uso quotidiano. I miei lavori, che traggono linfa anche dalle correnti del Costruttivismo, dell'Arte Programmata e dalle riflessioni sulla percezione visiva, si risolvono in esiti indipendenti. Il fondamento delle forme geometriche resta universale e difficilmente ancorabile a formule e definizioni fisse.
Dal 1997 al 2001 è stato docente di arte e design alla Scuola Cantonale di Losanna. Quali sono gli aspetti più significativi nella sua esperienza di insegnamento accademico?
Ho insegnato anche in Svizzera, alla scuola superiore orologiera HEAA di La Chaux De Fonds. Ho trovato giovani allievi molto motivati e preparati con i quali, in molti casi, ho concretizzato progetti straordinari. A Losanna ho tenuto corsi brevi, pensati come lezioni di ginnastica della mente, "ginnasio per il pensiero". È molto bello riflettere e lavorare concretamente insieme, ciascuno impara dagli altri. Nel 2003 ho insegnato anche a Brera dove mi sono trovato davanti studenti provenienti dalle più disparate situazioni e vissuti culturali e, in qualche caso, carenze di preparazione.
Che cosa pensa dell'architettura contemporanea anche in relazione al recente volume di Franco La Cecla "Contro l'architettura"?
Sono convinto che sia terminata l'epoca del "pensiero unico"; molti architetti operano secondo la giusta direzione, con una positiva operatività. Il ponte costruito recentemente a Millau, nel sud della Francia, sospeso sul "grand canyon" della Linguadoca, è un miracolo di sofisticata ingegneria e di bellezza. Certo, il rischio sempre in agguato è che la spettacolarizzazione dell'involucro architettonico, superi la funzionalità e la logica progettuale dell'edificio (penso a qualche azzardo di Frank O. Gehry o di Richard Meier). È un bene che se ne parli; ciò aumenta la consapevolezza critica e la capacità autonoma di giudizio. Anche in Italia c'è bisogno di questo costruttivo dibattito. Anche Varese necessita di una chiara e programmata guida culturale. È una città piena di persone che si occupano intelligentemente di cultura, ma mancano, a mio avviso, coerenza globale,
occasioni per riflettere e agire nel contesto urbano per migliorarlo. Gli architetti e gli artisti mugugnano, ma secondo me occorre operare, anche dopo la stagione dei Mondiali, per proporre una cultura che non sia episodica, per risolvere alcuni nodi urbanistici, per studiare ed eliminare alcune cattive abitudini della nostra città.
Volendo fare un primo, generale bilancio di questi primi quarant'anni "post Biennale ‘68"?
Il mio lavoro non è un'attività come le altre. Ti coinvolge completamente, non si limita a qualche ora e a qualche giorno all'anno, è un vero "modus vivendi" al di fuori delle mode. Ho avuto tante occasioni per imparare e conoscere molte persone. Ritengo che la qualità alla base di qualsiasi attività e progettazione sia il rispetto per persone, luoghi e pensieri altrui.