Mattia Lischetti, figlio d'arte, "orgoglioso di esserlo", competitivo quando era giusto esserlo, quando ancora non aveva trovato una propria via espressiva, vive concedendosi alla propria creatività ancora come se fosse un piacevole hobby. In prospettiva, lo spera, un mestiere, un lavoro vero e proprio. Quando altri angoli della propria vita si saranno smussati.
Mattia, sabato si apre una tua personale presso l'Atelier di Jo, a Varese. Quali opere si potranno vedere?
"Sono una decina in tutto. Tutte nuove inedite, alcune di grande formatoin cui spesso utilizzo la parola come supporto all'immagine. Da qui il titolo della mostra Tra materia e messaggio".
Nella locandina ci sei tu di spalle. E' la prima volta che entri in un tuo quadro.
"E' vero, mi si vede di schiena ed è come se dipingessi l'aria, con alcune nuvolette stilizzate. Mi piaceva l'immagine. In realtà saranno opere ancora incentrate sui temi che prediligono con la presenza dei miei animali tipici".
Lischetti junior pone in effetti al centro del suo lavoro due animali che sono due emblemi: il gatto e l'uccello. Perchè questa presenza costante?
"Sono simboli, per me, rappresentano dei punti di equilibrio. Codificano delle polarità spesso astratte: materia e messaggio, l'invisibile guardabile, ma anche predisposizioni, come dire, umane, la furbizia del gatto, la cupezza, la libertà, l'uccello che mi richiama l'idea del vagabondare senza fissa dimora. Solarità e lunarità. La gente, credo, a sua volta sia un misto di queste caratteristiche esemplificate da questi due animali".
Mentre conversiamo al telefono sento qualcuno fischiettare. E' l'uccello che vive con te?
"No. E' un uomo uccello che fischia giù in strada. Aspetta che chiudo la finestra. Vivo con un gatto però. Ma non mi dispiacerebbe occuparmi di un merlo indiano. Mio nonno aveva una gazza ladra. Nagari qualcosa di biografico in questi rimandi zoologici nelle mie opere esiste".
Chi sono i tuoi riferimenti?
"Mio padre, certo. Ma senza prendere riferimenti diretti. Sono partito da Keith Haring, dal mondo del graffitismo e dalla cultura hip pop. Ho sempre amato Klee, ma anche Picasso, così come l'astrattismo di Kandinskj. O Max Ernst. E via via ho sempre più compreso la semplicità e la complessità di ogni singolo figura simbolica e di quanto fosse necessaria approfondirla ".
Che rapporto hai con la pittura di tuo padre Luca?
"Ne sono orgoglioso. Mi piace molto. Sento che è una pittura molto vissuta, corposa, scolpita. A volte abbiamo delle diversità di vedute. Mi piacerebbe ad esempio che in questa fase osasse altre strade lasciando questa ricerca sul rosso che sta portando avanti da tempo. Magari cercando nuove sensazioni in altri colori".
Parlate di arte, vi scambiate "confidenze" sulla pittura?
"Prima di più. Prima era più facile anche andare in giro, per mostre, non solo di pittura. Prima c'era anche più competitività da parte mia. Perchè sentivo una forte attrazione per il suo modo di esprimersi. Prima di trovare il gatto…"
Il gatto, l'uccello e anche una certa capacità di sperimentazione tecnica.
"Si mi piace sperimentare, usare tecniche miste. In mostra ci sarà un quadro realizzato con delle foglie. Ne ho preparato un altro, non per la mostra di Varese, fatto con humus e vinavil. Bello, lo trovo interessante".
Che ambienti frequenti?
"Sto lavorando su Milano. Frequento il Meettwobiz, una sorta di gruppo poliedrico di cui fanno parte artisti di varie discipline, artigiani, design, critici. Mi piaciono anche questi ambienti in cui si mischiano le arti".