Un bambino riposa, quieto, chino sul tavolo. È uno dei pochi frammenti del Miart 2018 che riescono a infondere serenità. Sì perché le sensazioni dominanti sono ben altre: paura, instabilità, inadeguatezza. 124 gallerie provenienti da 19 Paesi, con installazioni, sculture, dipinti, incisioni ma anche mobili e oggetti realizzati da artisti di tutto il Mondo, diversi per età, stile, materiali, tecniche di linguaggio. Ma tenuti insieme dell’attesa di un nuovo Rinascimento che tarda a manifestarsi.
E allora troviamo volti umani soverchiati e perforati dalle radici. Animali che giocano con un teschio umano; lunghi divani che raffigurano un tunnel nel quale perdersi, o uomini stesi e legati.
Scopriamo un meteorite precipitato chissà dove e chissà quando, le inconfondibili superfici di Zorio, deformate, tese e tagliate con poche eloquenti parole.
Ci sono le sculture di Rondinone, pesanti, precarie, a caccia di luce e alcune interpretazioni dei migranti, come queste assi, che restano sospese, impossibilitate a trovare casa. Ci sono animali pacifici e guardinghi e visi turbati, isolati, con gli occhi rivolti a un cielo che non sembra rispondere. Proprio come gli sguardi, perduti per sempre, di donne, bambine e ragazze che Teresa Margolles ha saccheggiato dalle centrali di polizia di città del Messico. Sono tutte scomparse, senza lasciare traccia. E qui, al Miart, diventano un monito contro l’indifferenza. Ti osservano silenziose, ti catturano per un attimo, chiedendoti solo di non dimenticare.
Poi c’è chi torna a una dimensione pop, chi gioca con le tendenze modaiole immaginando una collezione tentacolare a misura di mutante. Chi propone l’essere umano in tutta la sua piccolezza o vulnerabile nudità.
È una dimensione sospesa, tormentata, impegnata in una ricerca che prosegue incessante in tanti laboratori e con migliaia di formule artistiche. Gli spunti e le suggestioni sono molteplici e tra loro diversissimi. Tutti, però, ci implorano di non smettere mai di interrogarci, di confrontarci con la bellezza in ogni sua declinazione; di mettere in discussione noi stessi e le nostre rassicuranti certezze; di guardare sempre un po’ più in là. E di chiederci se forse, la cosa migliore, non sia in ciò che non abbiamo ancora conosciuto.
Matteo Inzaghi