Milano – Nella sede della MA-EC Gallery in Palazzo Durini si è aperta la personale dell’artista Giulio Galgani intitolata “Mi sono scordato di te”, a cura di Daniela Pronestì. In mostra un ciclo di opere recenti – ad eccezione di alcune sculture dei primi anni Duemila – che ben raccontano i concetti su cui si fonda, da sempre, la ricerca dell’artista (classe 1958), ovvero memoria, radici, appartenenza. Il contrario di quanto suggerito dal titolo, che, in maniera provocatoria, parla di oblio, dimenticanza e distrazione per porre l’accento su tutto ciò che, al contrario, merita di essere ricordato e riportato al centro dell’attenzione sia individuale che collettiva. Un’idea di “recupero” che l’arte di Galgani declina sul fronte tecnico-espressivo come su quello concettuale. In questa mostra, lo sguardo di Galgani va dall’omaggio a grandi protagonisti della cultura – come nel ciclo dedicato a Giacomo Puccini nell’anno dell’anniversario della morte – alle “presenze” del paesaggio con la serie degli Alberi nomadi, ovvero installazioni – ottenute mescolando pezzi di legno, colore ed altri materiali.

Da una lato, infatti, il suo lavoro denota un rapporto vitale e feroce con la materia sia essa naturale o artificiale, organica o inorganica, espressione della cultura contadina o della produzione industriale: quello che avviene, in ogni caso, è al contempo un recupero e un riscatto sul piano estetico di elementi che l’artista non solo trasforma in qualcosa di nuovo, grazie ad un processo di radicale risignificazione, ma ne conserva anche la memoria originaria facendola entrare all’interno dell’opera. La “materia” diventa, dunque, protagonista non solo perché oggetto di “trasformazione” ma anche perché valorizzata alla luce dei propri simboli, significati e segni.

Il risultato sono lavori che, sottraendosi alle consuete categorie artistiche, confermano la natura ibrida del registro espressivo di Galgani, che non ammette alcuna distinzione tra pittura e scultura, materiali vegetali ed elementi industriali, strumenti tradizionali e tecniche personali. L’organico e l’inorganico convivono nelle sue opere, richiamando il contrasto tra autenticità e artificio, energia vitale della natura e azione dell’uomo. L’intento è anzitutto risalire alle radici dell’identità toscana, quella in cui Galgani si riconosce e che alimenta la sua ispirazione fin dagli esordi figurativi con opere ispirate alla scultura arcaica etrusca, per poi approdare, diversi anni dopo, ad oggetti come vanghe, forconi e falci – vessilli del lavoro umano che entrano a far parte del suo repertorio simbolico sia come installazioni che come elementi rielaborati in chiave grafico-pittorica – e quindi giungere ai Paesaggi evasi, zolle di terra toscana prelevate idealmente dal contesto d’origine e messe in un vaso per alludere al paesaggio come insieme di memorie da tramandare e proteggere. Un modo, quindi, per esprimere il suo legame con la cultura e i “segni” del territorio in cui vive e più in generale con i valori della terra intesa come patrimonio di simboli e saperi che rischiano di andare perduti nell’era della globalizzazione.

In questa mostra, lo sguardo di Galgani va dall’omaggio a grandi protagonisti della cultura – come nel ciclo dedicato a Giacomo Puccini nell’anno dell’anniversario della morte – alle “presenze” del paesaggio con la serie degli Alberi nomadi, ovvero installazioni – ottenute mescolando pezzi di legno, colore ed altri materiali – in cui l’albero, non più stanziale, si mette in movimento per esprimere, sul piano simbolico, un radicamento alla propria cultura, al proprio territorio, che non sfocia nell’essere “radicali”, e quindi non chiude né limita il pensiero, ma anzi lo facilita, lo rende possibile, perché consente di portarsi dietro un patrimonio identitario che diventa ricchezza da condividere.

La natura, quale esplicito richiamo ai valori fondamentali del vivere, si offre, dunque, come contesto di una riflessione con cui Galgani ci rammenta che, nell’era post-modernità caratterizzata da assenza di legami, vulnerabilità e incertezza, siamo tutti nomadi in cerca di radici. Alberi – suggerisce l’artista – in transito da una terra all’altra, ciascuno carico di memorie e significati – come quelli che evocati dalla materia e dal segno in queste o opere – che ci portiamo dietro quale eredità al contempo personale e collettiva, simboli di un’appartenenza perduta o dimenticata e del bisogno di ritrovare le proprie radici.

Possono leggersi in questa chiave anche la serie dei Girasoli, stilizzazione materico-pittorica di forme che ricordano il fiore e la sua collocazione nel paesaggio, ma anche il recente progetto con cui dalla terra Galgani passa al mare e alle “presenze” che lo connotano, come la rete da pesca, che in queste opere simboleggia dinamiche sociali e culturali, personali e collettive che imbrigliano vite, esperienze, rapporti, in una matassa inesplicabile. Reti che catturano, quindi, rappresentano un ostacolo, limitano la libertà, ma possono intendersi anche come un’opportunità di collegamento, un tramite per entrare in relazione con gli altri, con la realtà circostante, in maniera non virtuale ed effimera, ma reale e concreta, in un rapporto diretto con le cose. Le reti che Galgani applica sulla tela, mescolandole ad altra materia e colore, sono un modo per ricordarci – di nuovo il valore della memoria – che siamo tutti collegati, noi e gli altri, noi e la natura intorno, creature tra le creature, in connessione profonda con il vivente.

La mostra, in corso nella sede di via Santa Maria Valle fino al 15 dicembre, sarà aperta al pubblico da martedì al venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19; il sabato 15-19.

Note biografiche

Giulio Galgani, artista originale, protagonista di numerose mostre ed eventi in Italia e all’estero è un personaggio dalla creatività poliedrica e dalla curiosità inesauribile. Dopo un iniziale percorso figurativo nei primi anni Ottanta, si orienta verso una dimensione enigmatica dell’arte, di ispirazione prevalentemente metafisica, a cui, dal 2000 in poi, seguirà un indirizzo intellettuale ed umano del tutto nuovo. Nato a Genova nel 1958, vive in Toscana da molti anni, immerso nel verde della Val Di Chiana, terra dove trae ispirazione per molti dei suoi lavori. Dal 1990 ad oggi ha realizzato numerose mostre personali in gallerie private e spazi pubblici in Italia e all’estero (Cina, America, Europa) con la curatela, tra gli altri, di Martina Corgnati e Giovanni Faccenda. Si segnalano in particolare le antologiche: Chiostro del Bramante (Roma, 2012), Palazzo Bastogi (Firenze, Regione Toscana, 2012), Palazzo Medici Riccardi (Firenze, 2013), Palazzo Comunale di Pontassieve (2014). È presente in collezioni pubbliche nazionali ed internazionali come: Musei Vaticani; Palazzo Comunale di Cortona; Museo Casa Natale di Michelangelo; Musicom Museum, Amberg; Assembly House, Norvik. Nel 2024 ha pubblicato la sua monografia edita da Skira col titolo Ritratto di un artista irregolare.

(ph Ma-EC Gallery)