Invisibile – Bill Viola, videoartista americano, classe 1951, attivo a Firenze alla fine degli anni '70, in seguito a svariate incursioni in territorio italiano – solo per ricordarne una, l'ampia mostra monografica "Bill Viola. Visioni Interiori" tenutasi a Roma a Palazzo delle Esposizioni dal 21 ottobre 2008 al 6 gennaio 2009 – approda finalmente a Milano, ma che cosa succede? Nessuno sembra accorgersene. I due video dell'artista, uno dei principali esponenti dell'arte sacra contemporanea, situati in altrettante ubicazioni, uno alla Pinacoteca di Brera, all'interno della riallestita cappella di Mocchirolo con affreschi trecenteschi attribuiti a Giovanni da Milano, l'altro nell'adiacente chiesa di San Marco, sembrano quasi invisibili.
La grandiosità del deserto – Il primo, Déserts, realizzato
nel 1994 a completamento visivo del brano di Edgard Varèse eseguito dall'orchestra Ensemble Moderne si riallaccia all'esposizione "Fuoco", attualmente visitabile a Palazzo Reale. In esso, immagini aride, desolate ma altrettanto grandiose – terre sgretolate e in secca, monti, fulmini, ma anche una stanza abitata da un uomo, accompagnato solo da una brocca e un bicchiere d'acqua che silenziosi si schiantano al suolo – mettono l'osservatore di fronte alla propria condizione di solitudine esistenziale: se Dio è morto, Bill Viola rappresenta esattamente queste parole e a noi non resta che guardare, anzi, contemplare.
La strada – The Path (2002) invece, indicativamente intitolato Il cammino, è un trittico che dialoga attivamente
con i rilievi marmorei medievali posti sulle pareti della cappella del transetto di San Marco, e si propone di mettere in scena il cammino dell'uomo in seguito alla morte: una passeggiata quotidiana, immersa nel silenzio di un ambiente naturale possente e allo stesso tempo accogliente, dove ognuno è libero dai vincoli materiali della vita terrena e può infine dedicarsi ad un'esistenza eterna e spirituale.
Il confronto tra arte sacra tradizionale e contemporanea, ricercato in questi due casi e finalizzato ad attivare un meccanismo di continuità tra passato e presente, non genera una situazione inedita: sempre nella città meneghina infatti, e più precisamente presso la Chiesa Rossa, è presente da tempo un'installazione di Dan Flavin, mentre nella chiesa di San Fedele campeggia l'opera ceramica di Lucio Fontana. Come spiegarsi allora questo alone di indifferenza? Perché a Brera le guide, durante le loro spiegazioni, fanno riferimento solo agli affreschi, tralasciando completamente l'opera di Viola? E allo stesso modo per quale motivo presso San Marco il fruitore è completamente abbandonato a sé stesso, senza alcuna segnalazione di sorta, né all'esterno, né all'interno della chiesa?
Non è del tutto comprensibile il motivo di una tale
mancanza di strumenti, e non si può pensare che il fedele occasionale riesca a comprendere, privato di tutti gli strumenti didattici basilari, quali didascalie, fogli illustrativi,… la presenza di un video postmoderno in una cappella storica. Creare un circuito contemporaneo di installazioni satellite rispetto a mostre ed eventi è un'iniziativa estremamente utile, soprattutto in una città all'avanguardia come Milano, pensata per essere in continuo fermento. È solo grazie ad occasioni come questa che si concede la possibilità, a turisti o milanesi di nascita, di riagganciare uno stretto rapporto con il territorio, ma è anche necessario che si provveda a un'operazione di valorizzazione accurata e volta a sensibilizzare e non, al contrario, a dissolversi nell'ombra. Per ora Milano è Viola ma non se ne accorge. Speriamo lo faccia al più presto.