“Sono sfumate le finalità del museo. Nessuno ci ha chiesto di rimanere, e così abbiamo fatto un passo indietro”. È questo, in estrema sintesi, il motivo che ha spinto i membri del V.A.M.I, i Volontari Associati per i Musei Italiani, ad abbandonare le sale del Baroffio. Una decisione sofferta, come ci spiega Irene di Paola, che fin dall’inizio è stata al fianco di Laura Marazzi.
“Noi conoscevamo bene la dottoressa Laura Marazzi, siamo stati istruiti da lei secondo le finalità che doveva avere un’assistenza in un museo diocesano. Sono venute a mancare le ragioni per cui noi prestavamo il nostro servizio di volontariato. Noi avevamo imparato la differenza che c’è tra un museo normale e un museo diocesano. Significava che secondo l’insegnamento di Paolo VI bisognava spiegare l’arte in maniera che fosse anche finalizzata alla evangelizzazione e quindi noi per 15 anni abbiamo spiegato l’arte, abbiamo accolto i visitatori, abbiamo risposto alle loro domande, abbiamo prestato servizio nel museo con questa finalità. Il nostro referente era la dottoressa Marazzi, così c’era stato detto dall’inizio da mons. Macchi, che ci aveva chiamato nel 2001. Noi seguivamo soprattutto i gruppi dei bambini, i disabili, prestavamo servizio anche agli individuali, per le persone che venivano, curavamo l’accoglienza. Poi è cambiata la gestione, nessuno ci ha chiesto di rimanere, per cui mancando il nostro referente siamo andati via anche noi”.
Già da oltre un anno l’aria era cambiata. “Certe cose che secondo me erano necessarie per il museo erano fatte in maniera più approssimata rispetto agli anni precedenti. Era stata cambiata l’organizzazione che si occupava del servizio stampa, per esempio, e i nuovi non stavano lavorando molto bene, tutte le notizie uscivano in ritardo, c’erano spesso degli errori, venivano tralasciate le parti importanti. C’era un decadimento della diffusione. Quindi si aveva la sensazione proprio che qualcosa stesse cambiando. Poi negli ultimi tempi abbiamo visto che la preoccupazione della Fondazione Paolo VI era diventata esclusivamente economica, cioè badavano soltanto alle vendite dei biglietti, al fatto che si dovesse sanare un bilancio, ma tutto quello che si faceva e si faceva tantissimo (dalle conferenze ai percorsi tematici, percorsi particolari di approccio all’arte per i bambini) sembrava che non interessasse più, l’unica preoccupazione era la vendita dei biglietti, abbiamo capito che la finalità si era modificata”.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso “è stato il togliere alla direzione scientifica e di conseguenza ai noi volontari la gestione dei gruppi, soprattutto dei bambini, perché erano sempre percorsi molto particolari a tema: togliendo questo che cosa stavamo a fare? Quello era il nostro compito principale. Ci siamo chiesti cosa rimanevamo a fare se tutto era stato tolto e affidato a questa nuova organizzazione, che in un primo momento sembrava si dovessero occupare solo di biglietteria, invece poi abbiamo capito che questa nuova organizzazione avrebbe sovrinteso in toto alla parte economica e quindi alla gestione di tutto il flusso dei visitatori”.
In questo modo si snatura la missione del museo: “Diventa un museo non più diocesano ma in pratica come tutti gli altri musei che non hanno una finalità, invece ha una regolamentazione diversa, appartiene alla chiesa e come tale l’arte ha una certa finalità e quindi bisognava essere preparati in quel senso. Ma poi il Baroffio è la storia del Sacro Monte, conserva per esempio la più antica Madonna del Sacro Monte, c’era una preparazione particolare che noi abbiamo ricevuto proprio per dar informazioni culturali di questo genere. E quindi si è snaturato tutto questo. Non è semplice fare un lavoro di questo genere senza disturbare le coscienze, spiegare cioè un dipinto religioso con tutto il contesto storico. Quindi poi cambiando la finalità, diventando soltanto economica, perché l’unica finalità è sanare il bilancio…. Tutto questo cade…”.