Era la scultura italiana – Un ricordo commovente quello del critico d'arte Stefano Crespi, che ha avuto occasione di incontrare Luigi Broggini pochi mesi prima della scomparsa. "E' stato un incontro unico, di quelli che non scordi – racconta Crespi – io avevo scritto di lui sulla 'Rivista Europea', allora diretta dal grande Giancarlo Vigorelli. Broggini poco tempo dopo mi scrisse una lettera per ringraziarmi e mi disse: 'Vorrei stringerle la mano'. Per me – continua il critico – è stato un momento importante". Stefano Crespi ha anche scritto una testimonianza in occasione della mostra varesina a Villa Mirabello, del 1991 dedicata a Luigi Broggini. In quel testo Crespi cita una frase simbolo che lo ha sentitamente colpito e in cui si racchiude tutto l'animo e il ricordo dell'artista. Parole estrapolate dal loro primo e unico incontro. "Broggini vedeva il mio imbarazzo misto a timidezza nel voler chiedere e sapere tutto sugli artisti che aveva conosciuto a Parigi – continua Crespi – e prima di salutarmi mi ha detto: 'In un'opera, in un libro, in una vita, non conta la grandezza, ma il grado di amore'".
L'umiltà della grandezza – A Broggini si sono interessati i grandi del tempo. Gli artisti Carrà e Sironi. Gli scrittori Testori e Gatti. Tra gli storici dell'arte e critici, Argan e Dorfles. E' stato un artista molto amato anche da Vittorio Sgarbi. "Era una grande figura della cultura italiana. Come artista aveva una consapevolezza e circolarità della cultura. Questo perchè era molto colto e con una forte coscienza intellettuale", spiega Crespi.
La solitudine – "Lo coinvolgeva una forte solitudine dovuta all'incapacità di sopportare il cambiamento epocale dell'arte dopo gli anni '60. Entra così in una profonda solitudine. Stato questo che è ben compreso dal grande Giacometti – continua il critico – Broggini era molto stimato da questo artista, se pur profondamente diverso da lui. Nel '62 parteciparono entrambi alla Biennale di Venezia e dopo quell'occasione Giacometti chiese a Broggini di poter avere alcune sue opere da tenere in deposito. Questo purtroppo non avvenne". Le differenze dai due artisti vengono sottolineate così da Stefano Crespi: "Giacometti esprime un paradosso estremo, una forma di primordio nelle sue figure. Figure del dopo-storia. Broggini invece è molto più legato alla cultura europea, alla tradizione. Questo gli impedisce di entrare nella sfera della contemporaneità. Le donne, le ballerine, i nudi di Broggini interpretano uno scatto emotivo della figura, una consunzione interiore". Lontano dal contemporaneo dunque, lontano dalle strategie di mercato, di quella realtà che non gli si addiceva.
Libera espressione – "La grafica e l'incisione sono diventati relazione del fatto poetico. Le sue figure, i suoi soggetti nella grafica trovavano soluzione. Importante è il gesto della mano sul foglio. Il tempo. Il segno. Nell'acquaforte di Broggini si rispecchia il suo tempo interiore", insiste il critico. Non bisogna dimenticare che fondamentale sono anche le opere poetiche di Luigi Broggini. In merito Crespi dice: "Così come per altri artisti, tra i quali De Pisis, la poesia era per lui come un diario intimo, segreto. Struggente è il testo dedicato al figlio Stefano. Di estrema bellezza le raccolte poetiche, da quelle edite da 'Il Milione' a 'In fondo al Corso'".
Un esempio d'altri tempi – Tutto concorda, tutto conduce a delineare una figura di artista straordinario, che non vantava la sua professione e che sapeva dire grazie. "Di animo era una voce poetica", lo descive Crespi. Questo trapela sia dalle parole del critico d'arte varesino, ma anche dalla breve ma sentita testimonianza di Luigi Rebesco, responsabile della Galleria Bambaia di Busto Arsizio. Luigi Broggini è stato più volte ospite di questo spazio espositivo. "Aveva un senso di umiltà che oggi non si vede più – racconta Rebesco -; un artista di primissimo ordine in tutto quello che faceva. Dalle sculture al disegno, dalle ceramiche alla poesia. E' stata una fortuna avere avuto a Varese una figura così".