Sto facendo qualcosa che mi hanno consigliato di non fare: cammino da solo, di notte, su di una riva isolata dell’Africa più remota un piede dopo l’altro nella sabbia secca inseguo pezzi di stelle attratto da una marea che traluce ammiccamenti viola-argentei, sull’acqua, le ombre dei Dhow, le barche di legno oscillano ritmici riflessi, cadenzando il mio passo.
Mi hanno detto che è pericoloso, girare con il buio da queste parti ma io VADO AVANTI _mi sento avvolto da _vibrazioni amiche_ E’ quasi come chiudere gli occhi per attivare gli altri sensi…
In terra d’Africa non è mai tutto completamente silenzioso: un fruscio di foglie, uno sguardo sinistro, forse felino, da dietro un baobab, l’eco di una danza da un villaggio remoto, percussioni incalzanti, da dietro, si fanno più vicine…
Incrocio alcune sagome che sicure si muovono nell’oscurità. E’ incredibile la capacità della gente africana di camminare nel buio più assoluto. Percepisco qui la mia voce notturna quel suono generato certamente dalle onde di corde vocali primordiali. Scolpisco con un legno ritorto L I N E E enormi sulla spiaggia, sono cerchi che sanno di vento e si avvolgono in una spirale che è già musica preziosa e spaziosa.
La traccia è il gesto che ha senso per me in questo momento. Perché un’opera d’arte non può essere soltanto un complemento d’arredo dell’esistenza, una forma, un colore, qualcosa che “ci può stare” o “non stare”. Deve essere essa stessa un significato, vibrante, rarefatta, essenziale, abbondante, debordante, ma viva.
Stone Town è da sempre l’unico agglomerato urbano dell’Isola di Zanzibar ad avere case costruite in pietra. Il resto è tutto fango, che viene demolito dalle piogge torrenziali per poi essere costantemente ricostruito. Il Palazzo delle Meraviglie, l’edificio più grande della città. Era detto tale perché l’unico dotato di luce elettrica e in tempi più recenti, addirittura, dell’ascensore.
Questa è una città con altro grado di tolleranza religiosa: l’arte Islamica degli Omaniti, le chiese anglicane con il loro pesante ricordo di usurpazione e schiavitù, i templi induisti e i palazzi dei sultani si amalgamano perfettamente in un attraente decadentismo ottocentesco davvero singolare ed inatteso. La meraviglia di questo luogo sta proprio nel fatto che ogni popolo passato di qui ha lasciato una traccia che va a sommarsi alle precedenti senza scontrarsi. La bellezza, come è noto, sta proprio nella diversità di culture, nella varietà degli stili e delle arti. E noi certo lo sappiamo bene: l’Italia è “bella” proprio perché ad ogni angolo si trova qualcosa di inaspettato di unico, un particolare architettonico, qualche pietra squadrata di epoche passate, un piatto tipico, un sapore peculiare, una coltivazione, un aspetto geomorfologico del terreno… tutto questo rende così speciale e celebrata la nostra terra.
Qui, tra i chiaroscuri dei vicoli della Città di Pietra, capisco l’importanza di non cancellare il passato, di preservare diversità e quindi anche tradizioni. L’idea occidentale di uniformare tutto ad uno stile di vita, europeo o americano che sia, oltre alla dissoluzione della cultura locale di ogni paese, porta ad un livello di banalità che rende superflua persino un’attività artistica e culturale differente dal modello adottato. “Amare le differenze” significa proprio permettere che esistano svariati modi di vivere, di pensare, di parlare. E’ un errore credere che tutti, in tutto il mondo, abbiano bisogno delle stesse cose che piacciono a noi. Ecco la mia conclusione di oggi: l’acqua calda per la doccia, a Zanzibar, non serve.
Questa piccola isola deve rimanere libera! libera di essere un “terzo mondo”, come noi lo chiamiamo, tutto sommato abbastanza felice, senza troppi confort ma con una natura viva, enorme, pura, dove e bello ancora fermarsi a prendere fiato.
Quando pensi a Zanzibar devi avere in mente quell’azzurro riflessato di verde del mare, i sorrisi, le radici, la foresta tropicale, una biodiversità gigantesca, quell’Islam spirituale, rilassato e sereno, che si trova spesso in giro per il mondo. Imparare a riconoscere il fascino delle differenze e a rispettarle, porta conseguentemente a capire la necessità di dare un proprio originale contributo a questa bellezza.
Altrimenti tutto il resto scomparirà.
La mia voce notturna oggi mi suggerisce di cercare e di lasciare in questo luogo delle TRACCE.
Notturno n. 8 di Ivo Stelluti – 120 cm. x 80 cm. Avanzi di vernici spray, scarti di falegnameria, cunei di legno, residui derivati dall’estrusione di materie plastiche (Polyblend), corde, radici, gesso su tavola di legno.
Ivo Stelluti