Busto Arsizio –“Sono a Venezia. Vista a Palazzo Fortuny la collezione Merlini: sorprendente! Ne sapevi qualcosa?”. È il messaggio di un amico che, capitato in un torrido giorno d’agosto nella città dei Dogi, è rimasto basito di fronte alla qualità e alla dovizia di questa raccolta e, ancor di più, del fatto che sia di un collezionista bustese. Certo che sapevo, anche perché sono andato a vederla, e so anche che la raccolta non resterà a Busto perché, come asserisce amaramente lo stesso dottor Merlini in un’intervista pubblicata sul catalogo, “non sono mai risultate presenti condizioni minime, soprattutto di natura politica, di inclusione nel tessuto sociale della città di una realtà di tale natura”. Parole gravi, che pesano come macigni su chi ha detto no o anche solo ni. Perché bisognava dire subito sì e poi, senza tanti bla-bla-bla, mettersi d’impegno e risolvere i problemi, di certo anche gravosi, in primis quello della sede. Possibile che non ci si sia resi conto che una collezione di questa portata era un’occasione imperdibile e irripetibile? Mica si parla di quadretti o di pittori della domenica. A Palazzo Fortuny sfilano infatti i nomi che fanno parte della storia della pittura e della scultura d’Italia dagli Anni Venti del secolo scorso ad oggi e dei grandi proprio non manca nessuno, da De Chirico a Morandi a Burri, da Wildt e Fontana a Melotti. E di molti di questi artisti ci sono opere di grande significato o più lavori per documentare tutte le fasi e l’evolversi della loro ricerca: di Morlotti, ad esempio, sono esposte ben dieci opere (ma in collezione sono di più) dal 1955 al 1988.
“E tre!” verrebbe a questo punto da dire con un bel magone. Infatti non è la collezione di Giuseppe Merlini la prima a lasciare Busto. Almeno altre due, per quel che so, erano destinate dai loro proprietari a diventare patrimonio – e che patrimonio! – della città così che oggi, se le loro idee si fossero avverate, essa potrebbe andar fiera di un museo da fare invidia a città di ben altra storia e cultura.
La prima raccolta era quella creata dall’architetto Paolo Candiani, titolare con i fratelli di un antico cotonificio. Nella palazzina proprio a fianco del Municipio che era la sua abitazione l’architetto aveva riunito con passione e competenza tante, ma proprio tante cose belle: antiche sculture lignee e terrecotte rinascimentali, maioliche del Settecento lombardo e statue di presepi napoletani. E dipinti preziosi che provavano davvero il suo amore profondo per il bello. Mi ricordo bene la Madonna e Santi del Bergognone e il San Benedetto tra i rovi di Tanzio da Varallo che spero di rivedere presto – magra consolazione! – quando verrà aperta la collezione Cerruti a Rivoli, dove i due quadri ora sono conservati.
E ancora l’emozionante Maddalena penitente di Tiziano senza trascurare l’Ottocento e la parata delle gran dame in trine morbide effigiate da Boldini e da Tallone. Purtroppo giunse, grave, la crisi del tessile ed anche il cotonificio Candiani fu coinvolto; pure in questo caso qualcuno disse no così che lentamente, ma inesorabilmente, tutti quei capolavori lasciarono la casa di via Fratelli d’Italia e, parafrasando un adagio bustocco, “chi li ha visti, li ha visti”!
Anche Stefano Ferrario era un industriale. Dinamico e molto coinvolto dalla sua Busto per essa aveva pensato di sistemare in una palazzina di proprietà le tante opere d’arte comprate in abituali giri fra antiquari ed aste di prestigio in modo che i suoi concittadini, ma non solo, potessero ammirarle come poteva far lui, passando fiero di stanza in stanza. Davvero tanto c’era da ammirare in esse: vasi di ceramica dipinta greci o etruschi, crocifissi lignei d’alta epoca, reliquiari medioevali e scintillanti oggetti d’argento. E quadri dappertutto, dai commoventi fondi oro alle ebbrezze simboliste (fin una Isadora Duncan trasfigurata da Nomellini in Gioia tirrena), immancabili Boldini e tanto Cinque e Seicento e ancora Böcklin e i Preraffaelliti che il signor Stefano aveva acquistato quando nessuno ancora li voleva. Se si vuole poi si può vedere la copertina del catalogo della recente mostra della collezione Cavallini Sgarbi a Ferrara per rimpiangere la raffinata e colta eleganza della Madonna col Bambino e due Sante firmata e datata 1490 dal cremonese-ferrarese Antonio Cicognara. Purtroppo il commendator Ferrario morì improvvisamente un sabato mattina a Firenze, nello studio del restauratore Ponziani, non lasciando scritto nulla delle sue intenzioni e su quanto aveva raccolto con tenace passione scese il silenzio. A testimoniare la sua magnanimità e la sua sensibilità resta solo nel patrimonio artistico comunale un grande affresco staccato da un Luogo Pio di Milano raffigurante la Madonna col Bambino, Santi e donatori, opera importante di Ambrogio Bergognone. Ma chi la vuol vedere non vada alle Civiche Raccolte d’Arte di Palazzo Marliani, Cicogna. Essa infatti è in una cappella lontana dal centro, al quartiere Sant’Anna dove la guardano incantati i bambini dell’asilo quando vanno a dire le preghiere.
Giuseppe Pacciarotti