Storia di una fedeltà – Di Giancarlo Ossola, Mauro Bianchini si è innamorato più di trent'anni fa. Era il 1975, "si respirava politica, ideologia in ogni angolo di strada – racconta Bianchini – e la pittura di Giancarlo Ossola era piena di questa atmosfera, di questa carica, anche politica". Già allora fabbriche vuote, la sospensione visiva degli ambienti che mutuavano le stesse atmosfere letterarie di un Paolo Volponi, ad esempio. Ci vollero poi altri trent'anni prima che il giovane appassionato d'arte riuscisse ad incontrare il maestro. Tre anni fa, "e quando gli portai la brochure di una sua mostra degli anni Settanta nella Galleria 32 di Milano, da tempo chiusa, si è commosso, sorpreso che ancora la conservassi", ricorda ancora Bianchini.
L'ultima produzione – Una mostra alla Galleria Palmieri di Busto Arsizio, sancisce un rapporto ormai consolidato tra i due. Una mostra su doppia sede, quello bustocca e quella già aperta il 4 maggio presso la Galleria Bagolaro di Arluno, che rivisitano la recente produzione dell'artista: opere dal 2000 al 2007, carte e tele, che attestano una ulteriore tappa della sua ricognizione dello spazio e dell'ambiente, subito prima o immediatamente dopo la presenza animata in un vuoto che tuttavia è tutto tranne che inumano.
In un vuoto industriale, domestico, nelle assenze dentro atelier di pittori, raffigurati con una penetrante pietas e condivisione da Ossola, da una palpabile amore per le stesse vicende della pittura, nei quali "occorre avere la sensibilità di uno Stalker", rileva ancora Bianchini, affidandosi all'amore per Andrej Tarkovskij, condiviso da entrambi. La sensibilità di una guida che introduce ad un mondo in apparenza immobile e non spiegato, fitto di trame di corrispondenze, reminiscenze, palpiti, tagliato da una luce, quella luce incisa di un tempo, che negli ultimi tempi si è fatta più ammantante, calda e pervasiva.