L'opera di MarcoussisL'opera di Marcoussis

Promiscuità – Che legame ci sarà tra Basquiat e Uncini? E' ovvio un Rotella a fianco di Bonalumi? E Andy Warhol con Paola Ravasio? O il cinquantenne scultore Ugo Riva con Toulouse Lautrec; o ancora, Giuseppe Ajmone con Arman, Matisse con il giovane Marcello Corrà?
Incroci pericolosi, a Villa Ponti di Arona. Va in scena l'ultima creatura di Carlo Occhipinti, deus ex machina della politiche espositive locali, con mostre che puntano alto, con nomi di richiamo, puntualmente beneficiati dal gradimento del pubblico, ma spesso, non sempre, votate ad una conduzione non sempre comprensibile delle scelte.

Discrepanze
– E così anche quest'ultima: Estetica, forma e segno, 150 capolavori da Renoir a De Chirico, con una ampia selezione di nomi, di opere, di tecniche – in cui però l'olio, l'unico olio, una prova cubista del 1912 di Louis Marcoussis quasi si perde – in mezzo alle quali l'assunto di partenza – la bellezza estetica e la libertà creativa, la libertà quasi obbligatoria dell'artista contemporaneo – si stempera in una mole di informazioni visive, di messaggi contraddittori, di scelte di cui è complesso ed arduo dare una ragione. I nomi sono quelli in parte imprescindibili, ma allora avrebbero potuto essere molti di più; le opere in alcuni casi sono di bellezza e centralità conclamate; altre, molte altre, molto meno. Gli autori, presenti chi con un'opera, spesso realizzata con tecniche le meno rappresentative, altri, con un numero consistente, senza peraltro fare distinioni in merito tra capofila come Marino Marini, Giacomo Manzù piuttosto che un Ugo Riva.

Un vaso di PicassoUn vaso di Picasso

Cui prodest – Ma soprattutto risulta difficile riuscire a dare a questa varietà magmatica una collocazione. A che giova vedere l'opera della giovane promettente varesina Paola Ravasio, certamente di piglio scultoreo robusto, al centro di una sala che prevede, al di là di un pastello di Basquiat e di una serigrafia di Warhol, un'opera di artisti dalla poetica del tutto diversa come un Uncini del 1994 o un Bonalumi del 2003?
Giova sicuramente alla giovane Ravasio, così come all'altro giovane Corrà, accostato efficacemente, nel suo caso, – una croce in metallo – ad opere affini per senso religioso come quelle di Rouault. Ma resta in discussione il servizio che si rende al visitatore, se non quello – avanzato con convinzione dal curatore – di mostrare in un colpo solo opere di privati che altrimenti sarebbero invisibili al grande pubblico e di dare spazio anche nomi non ancora toccati dalla notorietà.

La bulimia – Ma è una motivazione, questa, che non è rigorosamente necessario valga sempre, in presenza di progetti ambiziosi come Arona sostiene da tempo. Per la vecchia scuola, vale ancora il principio base: meno opere, più selezionate e un discorso critico più chiaro che discerni e chiarifichi per sintesi anche, per sintesi forzata, se è necessario, piuttosto che la bulimia espositiva. E questo, a prescindere dai numeri, che continuano a dar ragione a scelte di questo tipo. Una mostra insomma da vedere e forse da rivedere più e più volte per afferrarla meglio, di volta in volta soffermandosi su singole voci. Tant'è che rimane in cartellone fino a fine novembre.