La zoomata da capogiro – Dal Lago Maggiore e ritorno; sorvolando le Alpi, entrando come una zoomata alla Brian De Palma, nei sacrari del Louvre, nei segreti della Biblioteque Nationale de Paris, per poi ritornare alle sponde magre del Verbano lombardo.
Un viaggio in una manciata di minuti che muove dall'epifania di Joannis Kunellis nelle limonaie dell'Isola Bella, al Museo per eccellenza che di recente ha aperto i suoi spazi sinora inviolabili alla modernità per le opere visionarie di Jan Fabre, fino a ricongiungersi ad un altro belga, di origine se non altro, che se non proprio vive sulle sponde, da quelle sponde da tempo trova la materia, misteriosa ed alchemica, del suo lavoro fotografico.
Come un giovane Shelley – Ci vuole talento a reggere il filo logico, in questo svariare continuo, in questo allegro sventagliare da zingaro ma con una metodica e una professionalità impressionante ed affascinante; ci vuole talento e una abilità strategica, a mettere insieme uno dei più grandi artisti italiani viventi, quello che portava i cavalli in galleria; Fabre, la star contemporanea dell'arte visiva belga, e Vincent Berg, fotografo di design e rapito da anni da un lavoro intitolato De simmetria cerebri, visionario, come un novello Shelley che crea una nuova ossessione, inconscia, tutta virata al digitale, alla ripetizione infinita delle possibilità.
Farfalle, coleotteri e arte gotica – Tutto questo, prossimamente sui vostri schermi, a Passepartout, la trasmissione cult, dedicata all'incrocio di culture visive, condotta da anni da Philippe Daverio. In questo caso, da Besozzo, dove l'antropologo-critico d'arte, con il suo fedele operatore al seguito, ha fatto visita nello studio di Vincent, attratto come un entomologo tanto dalle farfalle di Kounellis, quanto dagli insetti che riempiono l'arte di Favre, quanto infine dalle creazioni partorite dall'eleganza grafica e formale del fotografo; che celebra, a sua volta, l'arte del riciclo, trasformando composizioni realizzate con materiali di raccolta sulle sponde spesso inaccessibili del lago in immagini di pregnanza terrifica, esaltate dalla elaborazioni digitale e da una cura manicale in fase di stampa su carta nobile in grande formato che trattengono tutto il codice genetico di una pittura dell'assurdo e dell'incubo, di matrice nordica. Gotica, anzi.
L'ignorante del circo dell'arte – Daverio passeggia per lo studio, chiede, indaga ora una fase, ora un'altra del lavoro di Berg; davanti alla composizione improvvisata al centro del vasto studio di posa di reperti e rimanenze naturali, al computer per carpirne il momento della creazione speculare dell'immagine, passa poi in rassegna le stampe, consiglia per la successiva fase di montaggio le musiche adatte. Tutto scritto nella sua testa, tutto di una improvvisazione che agisce nella certezza incrollabile di avere in pugno gli spazi vuoti. E Berg, "ignorante del circo dell'arte e dunque artista vero", incede con il suo lavoro; non compare troppo spesso. "L'artista non conta – ammonisce Daverio – l'importante è che da queste sequenza emerga il mistero di queste opere fenomenali".