“Parco Archeologico Ambientale del Pausilypon” lesse sul cartello ingiallito al limitare della parete rocciosa. Aveva vagato per più di un’ora, fino a raggiungere l’imponente Grotta di Seiano, una galleria artificiale scavata in epoca romana di cui aveva tanto sentito parlare. La imboccò quasi senza pensare al fatto che, dopo qualche decina di metri, non ci sarebbe più stata luce sufficiente per procedere.
Pausilypon: tregua dagli affanni. E proprio di silenzio aveva bisogno quella sera, Salvatore Di Gesù, detto Sasà. Dopo l’ennesimo litigio con il padre e con lo zio, se n’era andato via di casa, con le cuffie che pompavano trap, i Ray-Ban, le sneakers scucite, incontro al tramonto, vagando senza meta per le strade sconnesse di Fuorigrotta.
Quella vita, lui, non la voleva fare. A sentir anche solo parlare di armi e minacce, pizzi e coltelli provava un brivido lungo la schiena così fastidioso, da non riuscire quasi a respirare.
Poi c’era il suggerimento di un angelo, Benedetta. Con quella sua voce irresistibile, gli aveva sussurrato più volte: «Segui la tua strada, non badare a quelli che vogliono trascinarti dentro al vortice della violenza. Tu non sei come loro. Tu conosci la Storia e sai che si ripete sempre, se non siamo capaci di imparare». E proprio la Storia era la grande passione che avevano in comune.
Si erano conosciuti qualche anno prima, in quarta ginnasio. Leggevano insieme classici latini e greci, poeti del Settecento inglese, avanguardie del Novecento. Si scambiavano libri, opinioni e qualche bacio.
Al maxiprocesso Salvatore si era seduto in disparte, nell’ultima fila. Non avrebbe mai più voluto incrociare gli occhi di suo nonno, il Boss della Camorra Mimmo Di Gesù, mentre veniva condannato per l’ennesima volta.
Era arrivato il turno della testimonianza di un ragazzo alto, magro. Avrà avuto più o meno la sua età. Davanti ai giudici aveva letto la sua deposizione, scorrendo un foglio di quaderno ben scritto.
«Ho assistito alla sparatoria» aveva affermato, «poiché abito nel quartiere e a quell’ora stavo uscendo dal bar sotto casa. Ho visto in faccia Mimmo mentre, con fredda indifferenza, dava ordine ai suoi due scagnozzi di sparare. Poi si è scatenato l’inferno. Si potrebbe inoltre sospettare che i sicari abbiano avuto l’appoggio delle Istituzioni, considerato il fatto che hanno operato alla luce del sole, in pieno centro abitato e la polizia è intervenuta soltanto quaranta minuti dopo.»
Aveva persino concluso la sua testimonianza con una citazione di Tacito: «Rubano, massacrano, rapinano, e con falso nome lo chiamano impero. Rubano, massacrano, rapinano, e con falso nome lo chiamano nuovo ordine. Laddove fanno il deserto, lo chiamano pace.1»
Poi era scomparso.
Terminato il processo, il Sostituto Procuratore Lo Sarno si era avvicinato a Sasà per chiedergli informazioni riguardo a quel ragazzo. «Lo conosci? Non è che per caso frequenta il tuo stesso liceo?»
«Mai visto prima» gli aveva risposto secco.
Sasà e Lo Sarno, invece, si conoscevano. Il Magistrato aveva regolarmente tenuto delle lezioni a scuola e più di una volta Sasà si era soffermato a fare domande, sempre molto pertinenti, intrattenendo l’illustre docente con discussioni su vari argomenti.
«Ho parlato con De Rosa, il tuo professore di lettere: dice che sei molto bravo. Spero davvero che tu voglia, l’anno venturo, iscriverti a una bella Università, magari al nord…»
«Il mio posto è qui, accanto alla mia famiglia» l’aveva interrotto Sasà, senza esitare.
“Peccato: questo gioiello è l’ennesimo angolo abbandonato della nostra città sgarrupata. Sarebbe splendido se il mondo lo conoscesse: quanto mi piacerebbe farlo rivivere attraverso le mie ricerche.” Così pensava Sasà mentre sbucò con disinvoltura dalla galleria. Era stato facile per lui trovare la via: sapeva bene che le strade romane erano costruite sempre in rettilineo. Per questo non aveva esitato. Camminò lungo il percorso che collega il golfo di Bagnoli con il vallone della Gaiola. Qui sono ancora visibili le antiche vestigia della Villa del Pausilypon, fatta erigere nel I Sec a.C. dal Cavaliere romano Publio Vedio Pollione, con i resti del Teatro, l’Odeion e di alcune sale di rappresentanza, anticamente affrescate.
La gente vociante si avvicinava a gruppetti verso i gradini dell’antico teatro. Anche lui si diresse lì. Forse, dopo pochi minuti, sarebbe cominciato uno degli spettacoli organizzati dall’amministrazione comunale.
Tra gli altri uomini incravattati scorse la sagoma inconfondibile, un po’ goffa e tarchiatella, del Sostituto Procuratore Lo Sarno, che si avvicinò quasi correndogli incontro. «Io ti conosco: tu sei Salvatore Di Gesù, il nipote di Mimmo».
Sasa’ rimase impietrito.
Riuscì solo ad alzare le mani come per dire «non ho fatto niente» ma l’omone lo prese sottobraccio e sussurrò: «Ho capito tutto, sai, la deposizione l’hai scritta tu. Non ho avuto dubbi quando hai citato Tacito. Hai fatto bene a denunciarli, sono i tuoi famigliari ma non ti meritano. Ti sei tolto un peso. Ora incamminati per la tua strada. Ho degli amici all’Università di Milano. Se hai bisogno qualcosa, va’ da loro…» e infilò nella tasca di Sasà un biglietto da visita. «Non preoccuparti per il tuo amico che ha deposto al processo: penserò io a proteggerlo.» Sasà si guardò indietro e scorse solo l’ingresso scuro della grotta.
Poi si voltò di scatto e davanti a lui c’era il grande mare.
1 De Vita et Moribus Iulii Agricolae, 98 d.C.
Il Viaggiator Curioso,
Napoli, Sabato 16 giugno 2018.