Tema attuale – Nell'ambito dell'iniziativa "La cura dell'altro", mercoledì 21 gennaio, il settimanale incontro conviviale dei membri dell'associazione Rotary Malpensa, presso il Tennis Club di Gallarate, è stato allietato da un intervento dell'architetto e socio del Club, Claudio Crespi, che ha affrontato il tema attuale e spinoso riguardante i criteri di definizione di un'opera d'arte. Con il supporto di alcune diapositive, l'architetto ha esposto ai presenti la sua posizione in merito a questo argomento, spiegando prima di tutto le motivazioni che hanno dato origine alla sua riflessione. Crespi ha parlato, infatti, di un «caos metodologico», una confusione che, attualmente, sembra regnare nell'ambito dei valori spirituali e delle idee di principio che sottendono un'opera d'arte, «un'assenza totale di unità» – ha specificato – «da ricondurre alla mancanza della capacità di "giudizio" su un'opera d'arte o un artista».
A supporto di questa tesi, l'architetto ha fatto riferimento all'approccio utilizzato dagli studiosi d'arte, nel corso del XIX sec., di matrice prevalentemente filologica, un metodo che ha portato gli esperti a studiare i capolavori artistici secondo un metodo basato soprattutto su documenti storici e non su idee e concetti, favorendo un tipo di interpretazione delle opere fondato solamente su elementi esterni ad esse. Solo con il XX sec. si è assistito, secondo l'architetto, ad un rovescio della medaglia, che ha visto un ritorno dell'estetica quale studio improntato ad individuare una definizione per il concetto di opera d'arte.
Una menzogna per guardare la realtà – Dopo questo breve incipit, Crespi ha proposto quella che, secondo lui, è la combinazione necessaria di parametri che permette di considerare un'opera d'arte in quanto tale.
Anzitutto, secondo l'architetto, la capacità di meditazione e introspezione sono le prerogative fondamentali che un individuo necessita per poter creare un'opera; interviene poi l'immaginazione, quel particolarissimo modo di sentire dell'artista, che gli permette di indagare la parte di realtà che si sottrae ai parametri conosciuti; «si produce arte» sostiene Crespi «soltanto con l'immaginazione, a patto che non si tratti di un gioco, ma di un'esperienza sensoriale». Condizione fondamentale perché l'opera sia davvero tale, è che l'artista riesca ad «uscire» dai suoi sentimenti per guardarli dall'esterno e prenderne atto consapevolmente; «l'opera d'arte», afferma Crespi citando Picasso, «è la menzogna che ci permette di guardare la realtà». Infine, rientra tra i parametri esposti dall'architetto, anche il «fattore novità», indispensabile per rendere l'opera unica e distinta da tutto il resto, frutto della creatività di chi l'ha portata alla luce perché, come aggiunge Crespi, «una forma, per essere artistica, deve essere plasmata. Cioè non copiata né inventata».
La profondità dell'uomo in ogni opera – Dopo aver esposto il nucleo principale dell'incontro, Crespi ha proseguito con una veloce carrellata di immagini, spiegando le fonti di ispirazioni degli artisti (gli oggetti, la natura, le azioni umane o i temi religiosi) e facendo alcuni accenni al genio di Leonardo ed, in particolare, alla Gioconda, considerata il primo ritratto della psiche del suo creatore. Dopo gli interventi del presidente dell'Associazione Andrea Bortoluzzi sul valore, discutibile, di mercato delle opere e quello dell'artista Alberto Tosi sull'effettiva indefinibilità di un'opera d'arte, l'incontro si è concluso con le parole dell'artista Giorgio Vicentini, che ha fatto riflettere i presenti sulla netta distinzione tra l'opera d'arte, considerata come capitale, e l'artista che l'ha creata, individuo che, per esperienza personale, è profondamente concentrato sul suo lavoro e prova ad esprimere ciò che di più profondo ha dentro sé.
"Se un artista non ha rabbia, gioia o nulla da esprimere", conclude Vicentini, "l'opera d'arte, effettivamente, non esiste".