Milano – Viaggiare attraverso una delle tematiche più inquietanti e attraenti della storiografia artistica: la testa mozza. Un’accurata selezione di opere ispirate a questa iconografia dall’antichità ai giorni nostri, è esposta alla galleria BKV Fine Art di Milano nella mostra “Perdere la Testa”. Il percorso espositivo, presenta 64 opere – dai seguaci di Andrea Solario a Bertozzi&Casoni, da Giuseppe Vermiglio a Julian Schnabel, da Vik Muniz a Mario Balassi, e ancora da Arturo Martini a Claude Vignon – intende riflettere sul cambiamento di paradigma avvenuto nel mondo contemporaneo rispetto all’idea di infliggere violenza, e anche rispetto al modo in cui noi, spettatori, la contempliamo oggi. Un’imponente tela barocca di Giovanni Battista Maino raffigurante Salomè con la testa del Battista accoglie lo spettatore all’ingresso della galleria, un percorso ricco di suggestioni che si sprigionano lungo tutto il percorso.

L’opera, attribuita al grande artista spagnolo dallo studioso Gianni Papi, sintetizza magistralmente l’ideale iconografico barocco in cui sacro e profano si coniugano. Salomè è la malvagia ed erotica artefice della decapitazione dell’eroe-santo. Una testa mozzata che viene distribuita lungo le pareti delle sale della galleria attraverso una ripetizione ossessiva. Il nucleo delle teste del Battista è diviso in due aree cronologiche diverse. Una prima legata al XVI secolo e all’area lombarda, debitrice della fortuna d’oltralpe del dipinto di Solario come immagine devozionale per Luigi XII, e allo stesso tempo alla diffusione della natura morta come genere pittorico. Frutti, fiori o teste di animali sono posti sullo stesso piatto su cui poggiava la testa del Santo, vanitas che parlano della fugacità dell’esistenza. Tra questi esemplari una testa, di provenienza Borromeo, attribuita a Giovan Battista Figino, che deriva dalla grande tavola di Cesare da Sesto conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna, o la testa del Battista di un seguace del milanese Andrea Solario, il cui originale è oggi conservato al Museo del Louvre di Parigi.

La seconda parete è dedicata alla pittura barocca, in cui il tema della decapitazione trova fortuna a partire dalle invenzioni caravaggesche per essere enfatizzata successivamente in declinazioni che arrivano al tenebroso e al macabro, come nelle tele che derivano dall’Erodiade di Francesco Cairo. In mostra tre esemplari derivanti dall’originale del pittore lombardo conservato ai Musei Civici di Vicenza. Sempre legate al tema dell’ossessione e della ripetizione, nelle prime due sale troviamo alcune sculture in legno e marmo del cinque e seicento raffiguranti teste mozzate, come la testa di giovane martire attribuita a Domenico Poggini, o la reinterpretazione in chiave moderna di Bertozzi&Casoni, dove la figura del Battista è sostituita da quella di un gorilla. La ripetizione ossessiva è riprodotta sulle pareti, in una sorta di horror-vacui, e mostra la modernità dell’arte antica attraverso il dialogo con l’arte contemporanea con opere di Giovanni Testori, in prestito dall’Associazione Giovanni Testori, e Renato Guttuso o i corpi decapitati stampati su lastre di acciaio specchiante dell’artista iraniano Arash Nazari. Parte della selezione di opere in mostra, ora nella Collezione Koelliker, proveniva originariamente dalla collezione di Giovanni Testori, scrittore, giornalista e artista, anche egli ossessionato da questa tipologia di opere. Nella mostra vengono esposti due suoi acquerelli del 1968, proprio mentre scriveva il monologo teatrale “Erodiade”. Testori, influenzato dai suoi studi su Francesco Cairo, riproduce insistentemente il motivo della testa mozzata del Battista con leggere variazioni. Il continuo riferimento alla viscosità, alla saliva e agli umori fisiologici trasforma queste rappresentazioni in semplice materia pittorica.

Il percorso della mostra indirizza il visitatore verso il primo piano della galleria, dove i brani biblici di Davide e Golia e Giuditta e Oloferne diventano protagonisti. Giuditta emerge per la sua sensualità, con cui salva il suo popolo seducendo il generale Oloferne, e lo stesso avviene per l’eroe Davide, che affronta il gigante filisteo Golia con una semplice fionda, per poi tagliarli la testa liberando così il popolo di Israele.

Accostate ad una terracotta di Arturo Martini dei primi anni ‘30, sono esposte una serie di Giuditte di pittori seicenteschi tra cui una tela di Giuseppe Vermiglio, esponente di spicco del caravaggismo lombardo. Una versione simile all’opera esposta è conservata presso le collezioni della Pinacoteca della Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano.

I carnefici sono inizialmente visti come eroi ma questa virtù perde gradualmente forza a partire dal modello proposto da Caravaggio, che arrivò a identificarsi con il cattivo sconfitto, raffigurandosi nella testa mozzata di Golia in un autoritratto. Questo motivo lo ricorda Julian Schnabel nel suo Number 3 (Self-Portrait of Caravaggio as Goliath, Michelangelo Merisi) del 2020, dimostrando la fortuna che questa innovazione ebbe nei secoli successivi e fino ai giorni nostri. Umano è anche il volto pensieroso e inquieto del Davide con la testa di Golia attribuito a Domenico Cerrini, variante di un dipinto di medesimo soggetto conservato presso la Galleria Spada di Roma, così come il Davide di Giacomo Farelli, allievo di Andrea Vaccaro, le cui opere decorano le più importanti chiese di Napoli tra cui il Duomo, per citarne solo alcuni esempi.

Se le teste e le vanitas antiche e barocche rimandano a un mondo unito dalla fede e dalla religione, in cui l’iconografia del dolore e della salvezza aveva il compito di istruire ed educare, nel corso dei secoli questo senso ha perso la sua ragion d’essere. Quando dopo l’Illuminismo scomparve anche il discorso filosofico così come era stato concepito, la contemplazione di scene violente e l’atto di infliggere danno divennero, in molti casi, puro spettacolo. Materia e frammento sono alcune delle caratteristiche di questa società postmoderna così discontinua in cui Medusa, senza dubbio una delle teste mozzate più famose della storia, può essere reinterpretata circondandola di lattine, metalli arrugginiti, vecchi pneumatici e altri materiali di scarto, come fa l’artista brasiliano Vik Muniz nella sua Medusa, after Caravaggio (Picture of Junk) del 2009. Quest’opera fa parte di una serie realizzata in una discarica, dove alcuni capolavori della storia dell’arte vengono ricreati con l’utilizzo di vari materiali di scarto.

L’esposizione, allestita nella sede di Via Fontana, potrà essere visitata sino al 20 novembre. Orari al pubblico: lunedì – venerdì: dalle 10 alle 18, solo su appuntamento t. +39 0289691288.