Come ben sintetizza lo scrittore Fabrizio Caramagna “Alcuni luoghi sono un enigma. Altri ci suggeriscono una spiegazione”.
Osservando il sito archeologico di Moray dall’alto di una scarpata sperduta sulle montagne peruviane, a 3400 m di altezza, effettivamente qualche domanda viene spontanea.
Un bel mistero si rivela di fronte ai nostri occhi: cosa sono questi terrazzamenti circolari concentrici? Un cratere vulcanico? Un teatro all’aperto? Una enorme piscina a gradoni? Una cava? Nulla di tutto questo. Non ci saremmo mai arrivati senza un piccolo aiuto.
“In sostanza”, Ci spiega Vincente, il nostro accompagnatore, “si tratta di un laboratorio a cielo aperto, una sorta di centro di ricerca agricola, dove gli Incas selezionavano le piante che più resistenti ai climi delle altitudini elevate. Ciascun livello offriva un microclima diverso e serviva per coltivare differenti specie di piante in forma sperimentale.
Tra il livello più superficiale e quello più profondo, 150 metri più sotto, c’è una differenza nella temperatura media annuale di 15 gradi centigradi. Le andenerías (terrazze) erano riempite di suolo particolarmente fertile e ricco di minerali. Sul fondo di ogni gradino, si intuisce ancora oggi un sistema di drenaggio dell’acqua proveniente dalle piogge. Il fondo della costruzione non si allaga mai, nemmeno in periodi di precipitazioni elevate, grazie alla porosità della pietra sotto la superficie. Analizzando i semi ancora oggi ritrovati nel terreno si è dedotto che, attraverso l’acclimatazione e l’ibridazione di specie vegetali selvatiche come Mais, patate e piante medicinali, gli Incas rendevano i semi più resistenti al clima andino, in modo da garantire la sopravvivenza della popolazione.
Siamo nel XV secolo. Quattrocento anni prima di Mendel.
Ivo Stelluti,
Il Viaggiator Curioso