Pierluigi Panza ha un po’ l’ossessione di Piranesi. Un’ossessione positiva che ha largamente segnato la sua vita. A partire dalla sua tesi di dottorato che verteva sull’incisore veneto alla successiva biografia, intitolata “La croce e la sfinge. Vita scellerata di Giovan Battista Piranesi”, Premio Campiello 2009, oltre a numerose altre pubblicazioni sullo stesso tema.

Ora, Panza ha realizzato “Museo Piranesi”, Skira Editore, 584 pagg., brossura, 45 euro, un vero compendio (frutto di un ventennio di lavoro), un censimento di quasi 300 marmi, partiti da Palazzo Tomati per le ricche magioni dei nobili dell’epoca. Una ricerca interessante e approfondita che, grazie alla ricostruzione, attenta e precisa di Panza, consente di capire il senso di un periodo storico piuttosto complesso.

Chi era Piranesi?
Gian Battista Piranesi (1720-1778) grande incisore, famoso soprattutto per le sue Vedute di Roma, era anche un mercante d’arte, oltre ché restauratore. In altre parole, soprattutto nella seconda parte della sua vita, la sua attività prevalente era quella di recuperare reperti che si trovavano numerosi nel sottosuolo della città attraverso scavi, anche clandestini, (Carandini le chiama: “Frattaglie che riemergono dal ventre della Capitale”), disfare i migliori pezzi, recuperando le parti più belle, e, dopo averle disegnate, realizzando splendide incisioni, catalogarli e poi venderli. Un affare davvero lucroso!
Ecco come descrisse questa attività il pittore contemporaneo – probabilmente invidioso – Vincenzo Brenna: «Piranesi ha fatto una raccolta così grande di marmi (palazzo Tomati), che oltre avere riempito tutta la sua casa ha preso moltissime botteghe nella sua strada che sono anche piene, e per tutto si lavora e tiene da trenta persone il giorno a lavorare li suoi marmi, ha guasi lasciato da incidere, e si è buttato a traficare di marmi antichi».
Un artista con lo spirito dell’uomo d’affari
E Piranesi vende questi pezzi antichi, spesso riassemblati con altri di epoche diverse o materiali contemporanei (bizzarri “pastiche”) a personaggi che dispongono di molto denaro: si tratta dei nobili dell’Europa del Nord, soprattutto Inglesi, abituati al Grand Tour in Italia, che, comprando oggetti e pezzi antichi romani, etruschi, greci, ornano le loro faraoniche ville, i loro palazzi, pensando così di accrescere il loro prestigio.
Una cosa del genere, oggi, per lo meno, ci farebbe gridare allo scandalo. Ma bisogna pensare che nella Roma del Settecento ancora non esisteva una sensibilità archeologica, come spiega bene Carandini. L’archeologia è una scienza piuttosto recente, che nasce dopo lo sviluppo della geologia, della stratigrafia del suolo (secondo quarto dell’Ottocento), e si occupa dei reperti antichi dal punto di vista del contesto in cui essi si trovano e che va ricostruito dando un senso alla storia che vi sta dietro.
Per l’epoca di Piranesi, questi oggetti, invece, sono soltanto pezzi da collezione, senza altro significato storico e culturale. E, ovviamente senza alcuna tutela. Purtroppo, ancora oggi, capita che certuni la pensino così. La mentalità in certi ambienti, dal Settecento a oggi, non sembra si sia poi così evoluta.
Bottega Piranesi, non solo profitto
E’ giusto, però, a questo punto far emergere l’aspetto positivo del lavoro di Piranesi. E’ vero che in un certo senso depaupera il patrimonio dell’antichità romana per i suoi interessi, li manipola, li stravolge per poterli venderli e li disperde in mezza Europa, ma è anche un estimatore dei monumenti, li disegna, ne fa delle incisioni, cerca di ricostruire Roma antica con oltre un migliaio di tavole e, anche se lo fa in modo un po’ fantasioso e immaginifico, il suo contributo alla storiografia è indubbiamente importante.
In sostanza, Pierluigi Panza, autore di “Museo Piranesi”, partendo dall’esame delle sue incisioni, cerca proprio di rispondere a questa domanda: l’artista veneto inventava i pezzi antichi che compaiono nelle sue stampe oppure esistevano davvero?
E per far questo Panza ha compiuto un lavoro davvero straordinario di catalogazione, di sistematizzazione, di schedatura per capire il successo della bottega “Piranesi” in quegli anni. E per farlo ha seguito il percorso dei vari reperti che sono partiti da Roma e sono approdati in Europa, in Inghilterra, perfino negli Stati Uniti.
Non sempre questa “caccia” ha dato esito positivo. Uno dei luoghi in cui si trova il numero maggiore di pezzi è il Museo Gustavo III di Stoccolma, oltre ai Musei Vaticani (il papato aveva una sorta di prelazione sui reperti romani) e il British Museum.
Anche le storie legate a questi reperti sono piacevoli da ascoltare. Molti nobili hanno negato di possederli e hanno rifiutato qualsiasi incontro, altri nel frattempo sono andati incontro a vari rovesci finanziari che hanno ulteriormente frammentato i loro beni.
Tutti questi retroscena, comprese le vicende legate alla morte di Piranesi e alle vicissitudini per la realizzazione della sua tomba, con raggiri e operazioni poco pulite, li ritroverete nelle pagine appassionanti del libro di Panza.
Ugo Perugini