Gli artisti della "fine del moderno" – Discendente direttamente dal graffiante cinismo della Nuova Oggettività e dalla semplicità equilibrata del Neoplasticismo e del Dadaismo, la nuova forma d'arte Popolare è in netta contrapposizione con l'eccessivo intellettualismo dell'Espressionismo Astratto e rivolge la propria attenzione agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della società dei consumi.
Il successo internazionale del movimento fu decretato dalla Biennale di Venezia del 1964, dove esposero Rauschenberg, Johns, Dine, Oldenburg. Alcuni artisti della Pop Art praticarono l'impiego di materiali e detriti del consumo, immettendoli in un flusso informe, al tempo stesso coinvolgente e dispersivo, altri costituiscono le proprie opere come diari dove si accumulano annotazioni personali, quasi alla ricerca di una nuova identità collettiva. In un mondo dominato dal consumo, la Pop art respinge l'espressione dell'interiorità e dell'istintività e guarda, invece, al mondo esterno, al complesso di stimoli visivi che circondano l'uomo contemporaneo: il cosiddetto "folclore urbano".
La sfrontata mercificazione dell'uomo moderno, l'ossessivo martellamento pubblicitario, il consumismo eletto a sistema di vita, il fumetto quale unico, residuo veicolo di comunicazione scritta, sono i fenomeni dai quali gli artisti pop attingono le loro motivazioni. In altre parole, la Pop Art attinge i propri soggetti dall'universo del quotidiano – in specie della società americana – e fonda la propria comprensibilità sul fatto che quei soggetti sono per tutti assolutamente noti e riconoscibili. E se l'aspetto è quello di un'arte giocosa, colorata e plasticosa, la critica alla società dei consumi, degli hamburger, delle auto, dei fumetti si fa, invece, presente e sottile.
Come è noto, nel corso di un inevitabile apprendistato,
Andy Warhol entra nel mondo della comunicazione per immagini passando da una porta che possiamo giudicare maestra: quella della pubblicità commerciale veicolata dai giornali e dalle riviste. Le immagini belle e patinate, accattivanti nel loro luccichio fasullo, l'icona che scorre, si ripete e poi scompare, gli porgono idee e suggestioni che gli resteranno ben impresse nella mente. La sua selezione compone l'enciclopedia visiva di questi ultimi 40-50 anni. Warhol è l'America nel momento in cui l'America è diventata il mondo. Come lo sono diventati la bottiglia di Coca Cola e il volto di Marilyn Monroe che l'autore ha isolato come un'immagine di devozione e un'icona moltiplicata. La diva di Holliwood è un simulacro, è come allo specchio nel centro esatto della tela.
Warhol rimane uno dei primi artisti del mondo a impiegare sistematicamente l'inchiostro industriale, fotografico e tipografico. Le immagini isolate si presentano come appaiono nell'impastata e scolorata tiratura dei quotidiani, anche debordanti dai contorni come in una riproduzione imperfetta. I colori sono aggressivi ma non c'è biasimo o ironico sarcasmo. Gli artisti della "fine del moderno" vivono la tela come uno schermo di un film o di un video dove trascorrono e si mescolano i fatti e i volti della cronaca. L'artista sceglie di riprodurre le immagini che stanno sotto gli occhi di tutti per sottrarle alla loro invisibilità, a quel circuito velocissimo e vertiginoso che le inghiottisce, perchè è prorpio l'oggetto che ci sta di continuo presente davanti allo sguardo che ci sfugge e che non arriviamo più a vedere e a distinguere. Col riprodurle fotograficamente o in pittura, gli autori della Pop Art tirano fuori le immagini dal circuito comunicativo nel quale galleggiano, per renderle per un momento almeno completamente presenti.