Busto Arsizio – Quella di tatuarsi è una delle pratiche più antiche dell’uomo ed esprime probabilmente, fin dall’origine, esigenze che appartengono profondamente alla sua natura e che, nel tempo, non sono mutate. Le motivazioni che spingono una persona a disegnarsi qualcosa di indelebile sul corpo sono rimaste più o meno le stesse dei nostri più antichi predecessori: possono essere estetiche, possono voler comunicare identità o appartenenza ad un gruppo, celebrare un rito di passaggio o essere un simbolo e un richiamo sessuale.
La testimonianza più antica che attualmente conosciamo ci arriva da un ritrovamento avvenuto nel 1991 al confine italo austriaco, sulle alpi Otzalet: il corpo congelato e perfettamente conservato di un uomo, soprannominato in seguito Otzi, presenta in diverse parti dei veri e propri tatuaggi, ottenuti dallo sfregamento di polvere di carbone in corrispondenza di un particolare tipo di incisioni. Gli scienziati che hanno analizzato la mummia ritengono che l’uomo sia vissuto circa 5300 anni fa e che questa forma di tatuaggio fosse praticata a scopo terapeutico per tenere sotto controllo il dolore fisico. Nell’ antico Egitto i tatuaggi, rinvenuti sulla pelle di alcune mummie, erano prerogativa quasi esclusivamente femminile e molte pitture funerarie lo confermano mostrando tatuaggi sui corpi delle danzatrici. In culture successive i tatuaggi divennero simbolo di appartenenza religiosa e non solo, mentre nell’antica Roma, dove la purezza del corpo umano era esaltata in massima misura, erano vietati e venivano usati solo per marchiare criminali e condannati. Con alterne fortune, a seconda del periodo storico, il tatuaggio è però arrivato fino ai giorni nostri dove sembra conoscere un nuovo momento di gloria e una grande diffusione, libero dai pregiudizi che per decenni lo avevano intrappolato.
Tautau: scrivere sulla pelle
Tattoo, tatuaggio, deriva dal termine onomatopeico polinesiano tautau, che ricorda il rumore del picchiettio del legno sull’ago che si usa per bucare la pelle. Fu inventato nel 1769 da James Cook che osservò questa pratica a Tahiti, dove era molto diffusa tra gli abitanti, descrivendola nei suoi diari come “ tatouage”. Nella nostra società i tatuaggi sono diventati un vero e proprio fenomeno di massa e possiamo vederne di ogni tipo e forma in ogni parte del corpo: a colori, in bianco e nero, romantici o addirittura mostruosi. Le ragioni psicologiche di questa pratica che sta diventando un vero e proprio fenomeno di massa sono molteplici e le più disparata. La più evidente sembra essere proprio riconducibile al bisogno di comunicare e relazionarsi senza utilizzare le parole, lasciando parlare il nostro corpo ed i suoi segni. C’è chi lo fa per trasformarsi in un’opera d’arte e chi per esprimere un’identità, chi per motivazioni religiose e chi per siglare un momento importante della vita. Lo stesso segno può essere portato da due persone diverse per stabilire un’intimità profonda e una sorta di unità che supera la differenziazione dei corpi. E’ un modo di comunicare silenzioso che, quando si trova in una parte nascosta del corpo, è destinato solo a se stessi e a pochi intimi e quando è molto visibile, ovviamente, a chiunque. Rappresenta un elemento di auto narrazione che taluni scelgono proprio per rivelare una parte di sé che altrimenti non riuscirebbero ad esprimere e a mostrare.
Segni e simboli non più indelebili
L’essere umano è una realtà complessa e in cambiamento costante. Il tatuaggio è costituito da un segno e dal significato che gli viene attribuito nel momento in cui si sceglie. E’ possibile che, nel tempo, non ci si riconosca più nella narrazione e nei segni impressi sul nostro corpo. Oggi il tatuaggio non ha più nulla di definitivo e può essere coperto o modificato quando non ci rappresenta più. Resta comunque una delle più antiche forme d’espressione e d’arte, diffusissima e culturalmente significativa capace di trasformare ogni singolo corpo in una tela vivente e che nel nostro mondo trova la sua massima espressione nella Body Art e nei suoi performer.
M. Giovanna Massironi