Pura, in balinese, vuol dire Tempio. Nell’Isola degli dei ci sono più di ventimila templi e qualcuno, prima di partire per l’Indonesia, mi ha suggerito che, chiunque approdi in questa seducente terra, deve cercarsi il “proprio” tempio, quello che, in qualche modo, possa riuscire a sentire un po’ “suo”. Facile accorgersi: basta avvicinarsi e d’improvviso si comincia a percepire qualcosa di ondeggiante… si, proprio lì, in fondo all’anima, mentre gli altri ti guardano stupiti.
Lungo il cammino, abbiamo incontrato l’Ulu Watu, dedicato agli spiriti del mare, arroccato su di una scogliera semplicemente enorme e celebrato da danze incalzanti;
il Tanah Lot, ancorato su di un’isoletta fatta apposta per fiabe e pirati,
il Taman Ayun con i suoi sette meru, le guglie del tempio, tutti in scala,
il Tirta Empul, il tempio della sorgente, mille cristalli di luce zampillante.
Poi abbiamo contemplato il Besakih, il Tempio Madre, ai piedi del vulcano, avvolto da nubi inquietanti… Il più grande, il più antico, un sito venerato già 2000 anni fa, che culmina, in cima ad un’imponente scalinata, con una Candi bentar: una porta sicura verso il Cielo. E’ qui che, seduti in disparte, per non disturbare la cerimonia, abbiamo avvertito veramente il respiro vivido, vibrante, ardente di questa Terra.
Abbiamo incontrato infine il Saraswati di Ubud, circondato da fiori di loto e gocce di pioggia, in continui riflessi sublimi. Saraswati è il dio della conoscenza, della cultura, delle arti e quale luogo migliore poteva scegliersi: un giardino di purezza, cosparso di bellezza.
Ma il mio tempio è sicuramente il Danu Bratan, dedicato alla Dewi Danu, la dea delle acque, completamente abbracciato dal lago e disegnato lì, in mezzo al fluido primordiale, perfetto persino per la copertina della guida. Ho capito che era lì per me già dal primo sguardo.
Il tempio è da sempre fonte d’amore e di rassicurazione per l’anima… forse ogni essere umano ne ha bisogno, in qualsiasi parte del Mondo, in ogni cultura, quantomeno come rifugio fisico, punto di riferimento, uno spazio dove immaginare di trovare qualcuno con cui parlare. “Noi abbiamo tanti dei, come voi avete tanti insegnanti e li chiamate tutti “Maestro!” mi suggerisce Wayan, il pittore, dalla sua capanna sperduta in mezzo alle risaie.
Mi sono fatto incantare da un luogo ai confini del Mondo, dai suoi contrasti cromatici, sonori e persino sintattici: se unisci le parole in modo diverso cambia la preposizione, ma il risultato, in Arte, è il medesimo CULTURA – DANZA – PREGHIERA – AMORE – COLORE_ L’isola sa ancora emergere dalla definizione consumata di meta turistica di grido, per regalare istanti superiori di trascendenza. Luoghi e pensieri, che ad un primo sguardo potrebbero sembrare un po’ artefatti, nascondono in segreto un reale “sentire”, una percezione ancora veramente magica dell’esistenza.
Kecak una danza trance, accompagnata ritmicamente dal canto corale di uomini e praticata allo scopo di scacciare i demoni. Il corpo si smembra in sincopati sussulti sensuali di invocazione, le mani disegnano devozione nell’aria, si staccano dalla terra, salgono più su, con il fuoco.
Il dramma musicale rappresentato narra la storia del rapimento della Dewi Sinta, moglie di Rama, da parte di Ravana, il re del male che la porterà nel Regno di Lanka. I ballerini che entrano nel cerchio e danzando raccontano di come Rama abbia combattuto per liberare sua moglie dalle grinfie di Ravana. La lotta di Rama è assistita da Hanuman, la scimmia bianca che guida il suo esercito contro le forze del male.
Durante il capodanno balinese, ancora oggi, viene osservato un giorno intero di silenzio… Tutti_stanno_zitti: nessuno comunica o lavora. Questo serve naturalmente ad ingannare gli spiriti, per far credere loro che l’isola sia deserta e che devono andare da qualche altra parte a cercare chi infastidire. Saremmo noi capaci di tanta armonia?
A Bali ogni villaggio ha un proprio pura puseh (il tempio delle origini), un pura desa (il tempio del villaggio) e il pura dalem (il tempio dei defunti, in onore di Shiva).
A bali anche i cantieri edili hanno un piccolo tempio, messo lì in un angolo, fra travi di legno, corde sfilacciate e pile di mattoni.
E’ incredibile: si trovano templi sulle pendici dei monti, nelle gole dei fiumi, sulle scogliere, nelle risaie, sulle spiagge. Ogni casa balinese ha un suo piccolo tempio, uno spazio dedicato al pensiero, alla meditazione, in una gara di astrattezza quasi imbarazzante,
per noi occidentali.
Per me, l’insegnamento di Bali è proprio questo: imparare a guardarsi dentro, anche un minuto al giorno, farsi un’immersione di Natura,
quando si può e lentamente lasciarsi trasportare dalla voce delle onde.
Cafè Lotus,
Ubud, Bali
Ivo Stelluti