Natalia Ginzburg all’interno di Lessico Famigliare fa riferimento, mentre racconta dell’arresto dei fratelli, a dei loro amici ritrovati in prigione. Tra questi nomina Carlo Levi di cui il padre dice non amare i quadri. Carlo Levi difatti, che nasce e cresce a Torino dove studia medicina, il medico non lo farà mai, o quasi. E’ più interessato alla pittura, e difatti proprio come pittore è conosciuto.
Era un uomo d’arte e tutte le arti gli scorrevano nel sangue, come se non ne avesse potuto fare a meno. Carlo Levi viene conosciuto dal grande pubblico grazie ad un libro, un romanzo, un capolavoro novecentesco: Cristo si è fermato a Eboli. Ed è proprio all’interno di questo libro che conosciamo la sua storia, quel poco che a lui va di raccontare.
Carlo Levi viene arrestato due volte dai nazisti, la prima è quella di cui parla Natalia Ginzburg mentre la seconda, sotto segnalazione di Dino Segre, viene mandato, come succedeva spesso, al confino. Il confino si trovava in Lucania e qui il tempo sembrava essersi fermato e aver fermato tutta la vita circostante. Questi uomini e queste donne vivevano in una povertà disarmante, lontani dalla cultura e dallo sviluppo, credevano a formule magiche e intrugli da sostituire alle medicine e non avevano nessuna speranza, nessun sogno. Carlo Levi viene preso, dalla sua casetta di benestanti a Torino dove poteva fare il pittore e viene scaraventato in questa realtà fatta di volti tristi e dal forte bisogno di aiuto. Qui fa qualcosa che nella vita non era mai stato costretto a fare: il medico. Quando arriva la situazione è disperata, la malaria regna sovrana, dottori con reali conoscenze mediche non ce ne sono e nessuno pensa a curare queste persone se non con la magia. Levi passa in quel luogo, con quelle persone, un giorno dopo l’altro: li conosce, li comprende, li capisce. Qui farà tutte le esperienze che lo porteranno a scrivere il suo romanzo più famoso, farà quei quadri di cui tanto scrive e che rappresentano in modo netto quello che possiamo leggere dalle sue parole, qui scriverà le sue poesie più belle e qui lascerà il cuore, nonostante non tornerà più in quel paesino chiamo Gagliano, è proprio qui che chiederà di essere sepolto, in quel cimitero in cima alla collina dove tante volte è andato in cerca di pace e di ispirazione.
L’opera di Levi, che sia un quadro, un libro o una poesia, non è mai solo questo. Quello che Levi fa attraversa tutte le arti per poi fermarsi nella forma che meglio può rappresentarla. Difatti lui stesso dice, palando di Cristo si è fermato a Eboli “fu dapprima esperienza, e pittura e poesia, e poi teoria e gioia di verità per diventare infine apertamente racconto.”
L’unico libro che raccoglie tutte le poesie di Carlo Levi si chiama Poesie ed è uscito nel 2008 a cura di Silvana Ghiazza. E’ una raccolta di tutte quelle poesie che Levi ha scritto perchè fossero pubblicate sui giornali, nei suoi libri, o anche affinché rimanessero inedite e che lui stesso, prima di morire, ha raccolto e disposto in questo ordine. Si tratta di un insieme di testi che rivelano un aspetto dell’opera di Levi rimasto troppo spesso in ombra.
Carlo Levi era un pittore, poi è diventato un poeta e uno scrittore e, a quel punto, ha scritto un libro per sottolineare agli occhi di tutti la drammaticità della questione meridionale diventando, quindi, anche politico. Lo fa con un metodo nuovo, non dice che cosa deve essere cambiato, racconta come è ora e lascia che il lettore, affezionatosi a Giulia, Barone e a tutti i contadini di Aliano, si renda conto da solo di quello che bisognerebbe fare.