Presso la veranda dell'Aula Magna dell'Università Cattolica di Milano si è tenuta la recente mostra fotografica di Christian Cremona, incentrata sul tema della Creazione biblica. Cremona, formatosi presso il Liceo Artistico Angelo Frattini di Varese e laureato in Storia dell'Arte in Cattolica, propone una visione molto originale della fotografia, che va al di là della semplice rappresentazione dei soggetti per coglierne invece l'intima essenza.
La sua mostra si intitola "Eidos: il dono della Creazione". Come è avvenuta la scelta di questo titolo, e quale significato vuole comunicare?
"Mi interessava sottolineare l'idea di una Creazione che fosse intesa anche come dono, mettendo quindi insieme queste due caratteristiche".
La Creazione è un tema a cui lei è particolarmente legato, anche prima di questa specifica mostra, trovando nelle pagine bibliche della Genesi una fonte di ispirazione per sua la produzione artistica. Cosa la affascina di questo tema?
"Innanzitutto mi piace parecchio dal punto di vista propriamente visivo, cioè la visione di un'immagine
dinamica che prende forma dal nulla, che lentamente prende corpo e quindi vita. Mi interessava in particolare la creazione rapportata alla nascita di un'idea: di solito, infatti, all'inizio un'idea nasce confusa, e poi piano piano diviene chiara. Ho dunque rapportato la creazione alla natura, immaginandomi come Dio ha pensato e creato ogni cosa dandogli vita. In un certo senso, ho voluto sottolineare l'aspetto plastico e visivo, e infatti spesso nelle mie produzioni più recenti gioco proprio su questo punto: cioè, sull'opera che si sta per formare, e che quindi è ancora confusa, come ad esempio una macchia oppure una velatura, e che poi prende corpo e forma compiuta. Lavoro partendo da qualcosa che, se si vuole chiamare "astratto", arriva però a definirsi come forma e pertanto diventa figurativo. Lo stesso processo lo si vede anche in scultura, quando da un grezzo si arriva a un liscio, utilizzando le varie carte vetrate e gli strumenti per lucidare. E difatti, quest'idea mi è venuta proprio guardando le sculture, quali quelle di Michelangelo e Bernini, e ultimamente anche dei Pomodoro, dato anche il mio lavoro di tesi".
Come avviene la scelta dei soggetti delle foto?
"Sono oggetti comuni, quotidiani. Parto da ciò che mi ispira, e sono interessato all'effetto che mi immagino potrà uscire dallo scatto. Quindi magari mi immagino che fotografando un soggetto, sotto una certa luce, mi potrà dare un certo risultato. A volte riservando anche delle sorprese: anzi, queste sono le più gradite. Altre volte, semplicemente penso ad un tema e vedo quale materiale mi può garantire una buona riuscita. Nella
scelta dei soggetti ci sono tutte e due queste considerazioni, anche se forse pesa di più la prima: spesso vado direttamente a fare l'opera, e poi vedo nello scatto quel qualcosa di più".
Più che parlare di "foto", lei preferisce parlare di dipinti fotografici, coniando anche il termine di "pittura fotografica". Può spiegare come è nata questa idea di fondere fotografia e pittura insieme?
"È una sperimentazione che ho cominciato verso il 2009: però era qualcosa di un po' particolare, perché era giocata su fattori come le gocce d'acqua sulle lenti, che davano degli strani effetti di ingrandimento. Comunque, all'inizio era pura sperimentazione fatta per curiosità, non aveva nessun fine né artistico né di altro tipo; ero solo curioso di vedere cosa sarebbe uscito. Invece, la "pittura fotografica" vera e propria l'ho sperimentata per la prima volta a Firenze, fotografando i riflessi di luce sull'Arno di notte. Qui però ricercavo soprattutto un effetto dinamico, di movimento, facendo più che altro delle prove. Il primo risultato pienamente riuscito di pittura fotografica l'ho ottenuto nella chiesa di San Gaetano, sempre a Firenze, e sono proprio quelle foto che ho esposto, sono le immagini relative alla creazione dell'uomo e della donna: il soggetto era il rosone illuminato della chiesa. Quella è stata veramente la prima opera che, appunto, definirei di "pittura fotografica".
L'idea che sta dietro alla pittura fotografica è quella di utilizzare la macchina fotografica come estensione del mio braccio per catturare la luce e dipingere con essa. Non mi interessa una fotografia che intrappola la realtà, ma è uno scatto che vuole andare ben oltre la realtà, perché vuole costruire delle immagini con la luce: delle immagini che non esistono realmente. È un andare veramente "oltre", capovolgendo il significato di fotografia".
In un certo senso, possiamo parlare di una fotografia di carattere metafisico?
"Esatto. Inoltre, tutto ciò che va a costituire il film pittorico, e quindi, parlando di fotografia digitale, mi riferisco al pixel, diventa macchia di colore. Il pixel mi piace, perché lo considero proprio come una macchia di colore. Portando le mie fotografie su una scala di un metro e mezzo, due metri, mi permette di avere un effetto proprio come un quadro".
Dunque alcuni effetti sgranati sono voluti?
"Sì, sono ricercati. In alcuni sono molto positivi, rendono la foto più bella, perché danno un effetto simile a quello ricercato nella pittura impressionista, dei macchiaioli, e dei divisionisti. Dunque, non è affatto un difetto, come invece viene spesso considerato da buona parte del mondo della fotografia".
Sulle foto scattate compie anche una qualche rielaborazione grafica successiva?
"Non viene fatto praticamente quasi nulla. L'unica immagine un po' rielaborata è stata quella sulla Trinità creatrice, "Padre, Figlio e Spirito Santo", quella con le mani. Ecco, in quella ho fatto un ribaltamento, per ottenere l'effetto speculare, che costruisse un'immagine dello Spirito Santo, rappresentato da quella colomba fatta di
fasci di luce.
La rielaborazione però di solito non serve, perché ciò che mi interessa maggiormente è dipingere e scolpire la luce con la macchina fotografica, intesa quale estensione del mio braccio, come accennavo prima. Non voglio costruire da nuovo un'immagine al computer. Il mio modo di lavorare si basa sullo scatto fotografico, visto proprio come atto: quando io muovo la macchina, o la giro, per dare un effetto mosso, sembra che io la muova nell'aria come se avessi in mano uno scalpello, con cui seziono l'aria stessa. La fotografia come "atto scultoreo": è come se stessi scolpendo la luce dal vivo. C'è perciò anche una sorta di rivelazione dell'immagine, poiché io non la penso prima, né la progetto in ogni dettaglio, ma nell'atto scultoreo essa mi si rivela poi in macchina. In questo modo c'è complicità tra la mia sensibilità artistica ed un imprevedibile effetto sorpresa".
Vuole parlarci di altri suoi lavori che sta svolgendo attualmente e di progetti futuri?
"Al momento sto occupandomi di monotipi fatti con i colori ad olio, solitamente con un colore solo, al massimo mescolato con un altro per creare una sfumatura. I monotipi li lascio o così come sono, oppure tendo a sfumarli con le dita se voglio dare un effetto più a carboncino; mentre altri li faccio seccare e dipingo ad acquerello alcune zone sopra, intervenendo poi con il pennino per scrivere delle parole. Ad esempio, avevo fatto un'opera dedicata a Beethoven, ispirandomi "a tre lettere dell'eterna innamorata", scrivendo poi alcuni pensieri relativi all'Inno alla Gioia, mettendo così in relazione il tema della gioia con il tema dell'amore. Ho voluto fare un po' di intreccio tra musica, poesia e scrittura, nella stampa".