Nome noto, volto sconosciuto – Chi volesse, varcando la soglia del Museo Baroffio e del Santuario, incrociare lo sguardo del barone Giuseppe Baroffio Dall'Aglio (Brescia, 1859 – Azzate, 1929), alla cui generosità si deve la costruzione del museo, rimarrebbe deluso: non sono noti suoi ritratti o fotografie, tanto che, scegliendolo come cicerone nella guida del museo per i bambini, non si è potuto far altro che immaginarlo disegnando un personaggio dal sapore un po' retrò. L'unica descrizione del barone, dedicata più alle sue virtù che all'aspetto esteriore, è nell'articolo pubblicato alla morte sulla Cronaca Prealpina, dove appare l'immagine di un uomo la cui "austera figura rivelava intelligenza e signorilità profonda e fine", tanto che "si capiva subito (…) che era un signore di squisita sensibilità e che amava appassionatamente le cose belle uscite dalle severe discipline dell'arte".
Al di là del nome Baroffio, ben evidente sopra l'ingresso, sono gli stemmi presenti sulla facciata a onorarne la
memoria, insieme ad alcuni particolari curiosi come le teste d'aglio disposte sui capitelli delle colonne della prima sala, richiamo allo stemma parlante Dall'Aglio. Nobile più per vocazione che per nascita, diplomatico e pubblico amministratore di lungo corso, benefattore non occasionale, il Baroffio fu collezionista intelligente che alla raccolta seppe garantire vita e dignità grazie alla decisione di vincolare il denaro lasciato al Santuario di S. Maria del Monte alla realizzazione del museo, al suo mantenimento e all'acquisto di nuove opere.
Le notizie sulla costituzione del patrimonio donato, composto soprattutto da dipinti, ma anche da porcellane, mobili, argenti, sono purtroppo quasi assenti. La vasta quadreria, nella varietà di autori, generi ed epoche, appare segnata da un gusto romantico, non rigoroso sul piano metodologico, ma chiaro nelle sue preferenze. L'eterogeneità dei soggetti (temi sacri, ritratti, paesaggi, scene di genere, nature morte, battaglie, allegorie) stupisce l'ignaro visitatore. Le alterne attribuzioni, che accanto a nomi di notevoli pittori lombardi, emiliani, veneti conta più generiche definizioni dell'ambito di provenienza o della scuola, spingono a valutare l'operato dell'artista indipendentemente dalla risonanza dei nomi. È questo il caso di alcune opere del pregevole corpus fiammingo e olandese, catalogato nel prestigioso
Deposizione di Cristo dalla croce
Repertory of Dutch and Flemish Paintings in Italian Public Collections (Lombardy).
L'importante copia in controparte dell'Adorazione dei Magi di Hugo van der Goes, pressoché coeva all'originale oggi a Berlino, è esposta di fronte a un'altra tavola fiamminga di fine Quattrocento. È la Deposizione di Cristo di un tardo seguace di Robert Campin, maestro di Rogier van der Weyden dal cui Compianto conservato al Maurithius dell'Aja il dipinto del Baroffio dipende strettamente, pur nell'arricchimento che, rispetto al modello, impreziosisce l'elegante figura della Maddalena o il buon Giuseppe d'Arimatea. Di grande interesse è la tavoletta cinquecentesca che raffigura un Paesaggio invernale, dove appare una minuscola Fuga in Egitto tra i tanti particolari tracciati in delicata punta di pennello.
L'Allegoria dell'aria e del fuoco, debitrice della serie dei Quattro Elementi realizzata da Jan Brueghel per il cardinale Federico Borromeo, incuriosisce grandi e piccoli: sulla destra i volatili simboleggiano l'aria, insieme agli angioletti che soffiano bolle di sapone e alla donna che regge una sfera armillare, antico strumento astronomico; a sinistra sono disposte armi, armature, pentole, pinze,
Sweerts), Zingara con tamburello,
particolare
monete e tutto ciò che nel Seicento veniva forgiato con il fuoco, tenuto in mano in forma di saette da una figura femminile.
Calamita lo sguardo l'enigmatica Zingara con tamburello di anonimo caravaggesco vicino al nordico Michiel Sweerts che, in conformità ad analoghe serie dei sensi, dovrebbe simboleggiare l'udito. Il bel Ritratto d'uomo barbuto echeggia famose figure di vecchi di Rembrandt. Diverte la scena di baro nei Giocatori di carte dell'ambito di David Teniers il Giovane, così come il tavolo da lavoro del Naturalista, tra coralli, conchiglie e…ramarri a zampe all'aria. Chi vorrà venire in Museo, dal 20 marzo in avanti, potrà avvicinare molti altri pittori dai nomi un po' difficili (come Philips Wouwermans, Hans van Lin, Jan Fyt, Pieter van Laer), ammirandoli senza la fretta imposta da questo breve contributo.