Busto A. Non so se cento anni fa i doviziosi proprietari di case da villeggiatura sul lago Maggiore usassero trascorrere le festività del Natale in esse. Le dimore al lago avevano saloni immensi con soffitti troppo alti, certo freschi d’estate, ma gelidi e umidi in inverno, e a riscaldare gli ambienti talvolta erano ancora soltanto i camini dalle cappe esagerate su cui era dipinto lo stemma della nobiltà famigliare, vera o fasulla che fosse. Meglio dunque, si saranno detti questi signori, scendere nei grand hôtel della Riviera o delle Dolomiti dove tutto era pronto a riceverli con ogni comodità e sciccheria. Tuttavia se questi commendatori, conti o cavalieri fossero allora venuti a Stresa o a Pallanza, giusto per citare due località del lago molto di moda, non avrebbero certo trovato l’aspetto malinconico, finanche avvilente, trovato da chi in questi giorni, pur splendidi e tiepidi di sole, vi ha fatto ritorno alla ricerca di angoli frequentati duranti gli anni lieti di bella età.
Già appena scesi dal treno alla stazione di Stresa, un tempo curatissima (oggi non funziona più nemmeno la biglietteria!), si scopre che di quella liberty e civettuola della ferrovia a cremagliera del Mottarone che le era addossata restano solo due sbiadite insegne – “bagagli”, “alloggi” – dipinte sul muro. Prendendo poi la strada verso il lago, sullo stesso percorso che
Hemingway aveva fatto fare al tenente Henri quando vi arrivò dopo la disfatta di Caporetto a cui aveva partecipato, mettono davvero gran tristezza alcune ville in totale rovina proprio a fianco dei lussuosi alberghi, anche loro in questo momento purtroppo tutti chiusi. Capita così per la pittoresca villa Basile di San Rizzo caratteristica per il paramento in cotto rosso e, appena dopo, ma già affacciate sul lungolago, per altre due: la Natalia, già sede del “Collegium Europaeum”, e la neo-neoclassica Mona, svuotate e devastate, addirittura celate alla vista dalla vegetazione infestante ormai diventata una giungla. Stringe il cuore poi fiancheggiare sul Sempione la portineria di villa Galimberti ridotta a cadente rovina. E sì che è un’architettura firmata: a progettarla fu infatti
Giuseppe Sommaruga, protagonista fra i più autorevoli del liberty italiano. Si potrebbe continuare ancora con altri esempi, come quelli nella zona del “Kursaal-Casino des Thermes” dove proprio cent’anni fa si svolgeva in estate la gran vita mondana di Stresa, ma è un tasto ancor più dolente.
Neanche a Pallanza per la quale le guide turistiche sprecavano nel secolo scorso aggettivi entusiastici, le cose sembrano andare meglio in fatto di rovine di edifici del tempo che fu. A far la passeggiata della Castagnola prende una tristezza che fino a sera non ti lascia più vedendo che al glorioso, e prestigioso, Hôtel Garoni, prestissimo e giustamente rinominato Eden per via della posizione e della vista incomparabili, è crollato un
altro pezzo di muro e di tetto mentre il parco, ammiratissimo ai suoi dì per la cura impeccabile prestatagli dai Rovelli che avevano stabilimento botanico a fianco, è diventato un inestricabile bosco. Anche alcune ville che punteggiano il magnifico promontorio, meta di svagati passeggi di D’Annunzio, della Duse e di Boccioni, non mancano di evidenziare allarmanti segni di trascuratezza e di abbandono. Il caso più evidente è quello di villa Tilde sorta come dimora da vacanza di Arnaldo Ferraguti, pittore e illustratore dei libri degli editori Treves di cui aveva sposato una sorella. In seguito fu convertita in albergo, ma nel frattempo
incominciavano a diventare sempre meno le persone che sceglievano il lago per far soggiorni, così è sopravvenuta la chiusura ed ora è solo un edificio triste e inabitato.
Questi sono alcuni esempi di incuria e di declino: purtroppo sulle amate sponde del Verbano se ne trovano ben di più (non capita così sul Lario…) e non si finirebbe di elencarle in poco tempo, finanche sulla riva ticinese dove i Grand Hôtel di Locarno e di Brissago hanno chiuso i battenti da un pezzo.
Tuttavia non si può non far cenno, concludendo, alla villa di Intra che appartenne al grande industriale tessile, conte e senatore Alessandro Poss e, ancora prima, al principe polacco Józef Poniatowski. A dominio di un parco superbo e davanti a un panorama emozionante del lago e dei monti che lo circondano era stupenda: le facciate e l’imperiosa torre belvedere erano tutte in pietra scagliola, tanto sfarzo negli interni con sale affrescate, lampadari immensi, mobili e arredi di pregio. Le fotografie, non mie, mostrano in quale stato è oggi. Inutile aggiungere parole.
Giuseppe Pacciarotti