Tra archivi e indagini sul campo – Sono servite diverse analisi di progetti e di numerosi documenti di archivio, così come anche di ispezioni dal vivo di numerose ville e strutture architettoniche lombarde prima di portare Sergio Beato, studioso della Società Storica Saronnese, a formulare l'ipotesi che l'autore del rifacimento settecentesco di Palazzo Visconti fosse Francesco Croce. La ricerca storica ha tratto le sue fonti soprattutto dall'archivio Grassi-Brebbia, che raccoglie molti progetti ingegneristici ed architettonici di Saronno, al cui conservatore, l'architetto Alessandro Merlotti, lo studioso rivolge i suoi più sentiti ringraziamenti, oltre che alle proprie collaboratrici Anna e Maria Assunta Colombo.
Da Filippo Visconti a Don Diego Rubino – "Viene ancora chiamato Palazzo Visconti, ma sarebbe forse meglio definirlo Rubino", sottolinea Sergio Beato. Sì, perché l'edificio, come si presenta oggi, è in realtà frutto di una ristrutturazione avvenuta nel XVIII secolo, quando il caseggiato finì in mano a Don Diego Rubino che lo ereditò dallo zio Giacomo. Prima di allora la così detta ex-Pretura appartenne ai conti Rossi e prima ancora a Filippo Visconti, committente della dimora che ne conserva tuttora il nome. E' su don Diego e sugli oltre 50.000 ducati fatti arrivare a Saronno dalla Spagna (Rubino aveva madre ispanica) che si è concentrata l'attenzione di Beato, e non solo. "Quei soldi servirono",
dichiara lo storico, "a modificare la casa ricevuta in eredità secondo il gusto in voga nei primi decenni del Settecento: il barocchetto lombardo".
Indizio dopo indizio – Chi impegnò il signorotto d'origine spagnola, lo si è desunto dai raffronti compiuti tra la struttura complessiva di Palazzo Visconti e i progetti e ville ancora esistenti distribuite in diverse zone della Lombardia e della provincia di Novara. Il cortile d'onore, l'antico ingresso alla corte, il prospetto ed il giardino dell'edificio saronnese sono stati i punti cruciali dell'analisi di Beato. La magnificenza delle strutture indica oggi come allora la signorilità posseduta da Don Diego Rubino, ma sono la forma del giardino, a quadrifoglio, del tutto simile alla pianta del portico che circonda la Chiesa di San Michele presso la Rotonda della Besana a Milano (autore della recinzione Francesco Croce), e in particolar modo il prospetto di Palazzo Visconti, costituito da un portico con tre grandi arcate a colonne binate, a condurre Beato indizio dopo indizio al nome dell'architetto milanese.
del portico a tre archi
Il portico della facciata – Osservati dal vivo e sulla carta i prospetti di numerosi edifici signorili settecenteschi lombardi e piemontesi, significative a riguardo villa Pertusà a Comazzo, villa Clerici-Cicogna a Trecate, villa Massari a Corbetta realizzati negli anni Trenta del XVIII secolo dall'architetto Croce, lo studioso ha concluso che l'autore della struttura con cui Palazzo Visconti si presenta attualmente fosse proprio lui. Il progettista lavorò a Saronno tra il 1729 ed 1736, anni a partire dai quali ebbe modo di imporsi sulla scena lombarda, tanto da caratterizzare le ville di delizie con un suo segno distintivo, il portico di facciata a tre arcate con colonne binate, e da essere incaricato nel 1760 dalla Fabbriceria del Duomo di Milano di realizzare la guglia maggiore del Duomo di Milano in stile gotico. Incarico, quest'ultimo, che ne attesta la fama e la perizia tecnica: lavorare alla Fabbrica della cattedrale milanese certamente all'epoca fu una delle massime aspirazioni di architetti ed ingegneri.
Cucchi, amico di Croce – Ed infine, è sempre grazie alla ricerca di Beato se oggi capiamo perché a realizzare gli affreschi interni di Palazzo Visconti, molti dei quali riscoperti in seguito all'incendio del 2007, fu chiamato Giovanni Antonio Cucchi. L'autore dei soggetti mitologici dipinti sulle pareti dell'ex-Pretura era amico di Francesco Croci: almeno così sostiene Beato che ha rinvenuto un documento in cui è indicato che l'architetto fece da padrino al battesimo della figlia di Cucchi. La loro collaborazione sarebbe tra l'altro attestata prima che a Saronno in una delle ville analizzate nel corso delle indagini. Con queste scoperte, dunque, al valore storico che il Palazzo di per sé ha già per Saronno, si aggiunge quello di testimonianza architettonica, storico-artistica e di civiltà della Lombardia del Settecento.