Una scritta luminosa, sulla facciata della chiesetta di Sant'Imerio a Bosto, proclama i 1100 anni di vita della stessa. Una delle più antiche costruzioni sacre di Varese, dunque. Originariamente, era dedicata a San Michele e fungeva da parrocchia della castellanza di Bosto.
La leggenda e la devozione popolare la associò presto al culto di Sant'Imerio, assieme a San Gemolo martirizzato nel XI secolo: sotto i colpi dei briganti della Valganna, Gemolo perì nella stessa valle, Imerio sul colle di Bosto, dov'era riparato. La piccola chiesa, sostituita come parrocchia negli anni '20 del Novecento dall'attuale edificio, piuttosto pretenzioso, rischiò di deperire e scomparire, ma fu sempre salvata dall'affetto dei fedeli.
In occasione del – presunto – millecentenario, ci sarà la visita dell'Arcivecovo di Milano Dionigi Tettamanzi e la parrocchia di San Michele ha pubblicato un opuscolo pieno di informazioni sulla storia del tempio. Particolarmente avvincenti, gli "scavi" nella chiesa che portarono – correva l'anno 1928 – al fortunato ritrovamento delle – presunte – ossa di Sant'Imerio appunto.
Per averne conferma, abbiamo sentito un bostese doc d'antan, il pittore-incisore-poeta dialettale Uberto Vedani, arguto testimone (spesso oculare) dei casi sacri e profani della castellanza.
Allora, com'è andata, con le ossa del santo?
E' andata che ero bambino, e si stava lì a curiosare nella chiesa, dove da giorni si scavava, alla ricerca delle ossa di Sant'Imerio, che "dovevano" trovarsi là. A un certo punto si trova un avello di pietra, con scolpita una figura piuttosto primitiva…c'eravamo! Mi dissero di correre a chiamare il curato.
Che cosa c'era dentro?
Uno dei muratori diede un colpo di piccone, si può ancora vedere l'angolo danneggiato. Si trovarono dei teschi e delle ossa, le campane suonarono a festa, finalmente avevamo il "nostro" santo.
I reperti da chi furono analizzati?
L'Arcivesovo Ildefonso Schuster, di origine tedesca, fece mandare a studiare le ossa in Germania, con l'indicazione di scegliere quelle che verosimilmente avessero i caratteri "tedeschi". Tanto Imerio che Gemolo, infatti, secondo la tradizione subirono il martirio mentre scortavano un vescovo d'oltralpe nel viaggio verso Roma.
Cosa si fece in seguito, con quelle ossa "ariane"?
Si composero i resti in quella specie di fantoccio del santo che si vede ancora oggi. L'avello fu rinchiuso e adoperato come altare, che Schuster consacrò nel 1935.
Per salvaguardare la chiesa, furono necessari diversi interventi di restauro: come mai?
Di mezzi non ce n'erano tanti, ma i bostesi sono molto attaccati a Sant'Imerio, cosicché hanno costituito nel tempo dei comitati per raccogliere i fondi necessari. Anch'io ho aderito, siamo riusciti in qualche modo a fermare l'umidità, che ha in parte scancellato la decorazione interna ed esterna della chiesa.
Quali artisti si sono confrontati con l'immagine di Sant'Imerio e della sua chiesa?
Mi ricordo di Fedele Landini – veniva da Milano – che dipinse la pala del santo trafitto al petto da un pugnale e ravvivò di colore il crocifisso. Poi altri ritrassero la chiesetta, come soggetto gradevole, ad esempio Raimondi, il famoso acquerellista.
Anche Uberto Vedani, mi pare…
Sì, in effetti. In diversi lavori. In quello che io come gli altri abbiamo donato alla chiesa è raffigurata una delle rogazioni, quelle processioni che impetravano la fecondità dei campi.
Siamo grati al testimone, che parlerebbe a lungo in un'età – 84 primavere – che si perde volentieri nei ricordi, spesso lucidissimi, a dispetto della nebbia che improvvisa avvolge il presente. Un presente che vede la chiesetta in buona salute, preda dei matrimoni, con un altro arcivescovo pellegrino a Bosto, sulle orme di Sant'Imerio.