Si muore una volta soltanto? Questa è la domanda che il curatore Alberto Zanchetta pone all'attenzione degli spettatori che, spinti dalla curiosità, si trovano a contatto con l'iconografia della vanitas e del memento mori. Il titolo della mostra, Eleazar, richiama il nome ebraico di Lazzaro, una tra le poche figure bibliche costrette a conoscere la morte due volte. Resuscitato dal Cristo, egli contravviene infatti alle leggi della natura: anziché essere richiamato alla vita eterna, è costretto a vivere quel che ancora gli resta della sua esistenza terrena. A tale proposito il critico cita lo storico olandese Johan Huizinga, secondo cui Lazzaro – dopo essere tornato in vita – «non aveva conosciuto che un continuo orrore per la morte che aveva già una volta sperimentato».
L'allestimento dell'esposizione intende quindi ricreare una moderna danza macabra con opere effigianti scheletri o parti di essi. Tra le principali opere di questo sabba artistico figura Happy Head di Damien Hirst, un teschio in resina ricoperto con un'esplosione di colori, alla maniera dell'action painting. Si prosegue con le "teste di
morto" di Nicola Bolla, realizzate attraverso il certosino incastro di carte da gioco, in cui i semi dei fiori alludono al ciclo della natura, mentre il seme dei cuori si rifà alla dualità tra eros e thanatos. Ipnotiche le sculture in ceramica di Bertozzi & Casoni, che per l'occasione presentano Le bugie dell'arte, un cranio dal naso aguzzo che si protende nello spazio, e Reliqui con avanzi, un vassoio in cui si affastellano i resti di una colazione (si noti come il bianco perlaceo delle tazzine di caffè si confonde con il barbaglio delle ossa umane). Si passa ai dipinti di Andrea Chiesi, ideogrammi che riprendono il simbolo del "pericolo di morte" attraverso l'uso di oli o pastelli. Impreziosito con cristalli e diamanti, Arcanum: death and vanity di Angelo Filomeno, un teschio ricamato in seta shantung che si discosta da tutti gli altri per via dei suoi "vampireschi" incisivi. Apparentemente lugubre è anche la tela nera di Marco Cingolani, in cui il frazionamento del proprio codice fiscale dà vita ad un autoritratto postmortem.
Proseguendo in questo viaggio "mortifero" si incontra la fotografia Kertesz in Edo di Joel-Peter Witkin, il teschio anamorfico che si pone in dialettica con il concetto di natura morta, trasfondendo la sua caducità sia nei fiori che nei ventagli che lo circondano. Particolare il mattone firmato Enzo Cucchi, Eroé, in cui animali e figure filiformi interagiscono con le reliquie dell'umanità. In due piccole tele di Michael Bevilacqua, Templed e Knights in shining armour, figure dal volto ossuto vengono marchiate dalle cromie e dagli slogan della cultura di massa, in una sapiente commistione di generi che vanno dal pop al pulp, dal punk alla street art. Nicola Di Caprio attinge invece all'immaginario musicale proponendo Second skin, foto-ritratti di fan che ostentano le t-shirt delle loro band preferite, in particolare quelle metal che nella maggior parte dei casi ricorrono al simbolo del Jolly Roger. Infine, il congolese Chéri Samba presenta il quadro L'ultima battaglia: un miliziano africano getta a terra il proprio fucile in segno di resa ma intorno a lui giace una catasta di crani che sono la diretta testimonianza dei conflitti che flagellano il Terzo mondo. In modo inequivocabile, ma provocatorio, queste opere ci aiutano a rispondere al disarmante quesito del curatore. Si muore una volta soltanto? No, affatto, «in verità moriamo ogni giorno» perché è impossibile possedere o comprendere il senso della vita.
Eleazar
Dal 31 maggio al 22 luglio 2011
Milano, Corsoveneziaotto
C.so Venezia 8
A cura di Alberto Zanchetta
Tel. 02-36505481/82
info@corsoveneziaotto.com
www.corsoveneziaotto.com;
Orari: lunedì – venerdì: dalle 10.00 alle 13.00;
e dalle 15.00 alle 19.00