Milano –  In questi giorni è tutto un ondeggiare di pacchetti infiocchettati e un dissertare sugli acuti della Netrebko nella Forza del destino, ma, per fortuna, restano ancora angoli dove queste frenesie non arrivano. Basta andare in via Bagutta al 14, attraversare il breve cortile selciato a ciottoli ed entrare nella Galleria Carlo Orsi dove in un ovattato silenzio si può assaporare “il trionfo di una lussuosa araldica follia” (scripsit Roberto Longhi) che coinvolse la città ai tempi della dominazione sforzesca. Vi sono solo (solo?) quattro tavole e tre miniature per testimoniare tanta eleganza e finezza e per far intendere quanto fu Solo una questione di Luce, appunto il titolo della mostra (fino al 31 gennaio 2025) che seguitando specifica: L’Italia e il fascino delle Fiandre tra Quattro e Cinquecento.

L’Italia appunto, per documentare la presenza della tavola con I quattro dottori della Chiesa di Antonio da Viterbo, un artista operoso nel Lazio alla metà del Quattrocento, recuperato da Federico Zeri anche se ancora mancano tasselli ad una sua completa definizione. Certo che a guardar la tavola con quella congrega di santi dalle dita allungate, affilate e ingioiellate e con addosso vesti in sinuoso fluire di bordi preziosi e mitrie tempestate di gemme si intende a quali esiti squisiti era giunto il Gotico internazionale prima di essere travolto da altri potenti linguaggi.

Zanetto Bugatto, San Paolo

Tornando alle testimonianze dell’arte lombarda, quella che ci hanno fatto conoscere e amare Toesca, Longhi e oggi Mauro Natale (il curatore della rassegna e, coadiuvato da rigorosi specialisti, anche del catalogo che l’accompagna), appaiono pregevoli i due scomparti gemelli raffiguranti l’uno San Paolo e l’altro San Pietro. Quest’ultimo è opera di artista ancora nell’anonimato diviso tra Gotico internazionale e suggestioni foppesche; il San Paolo invece spetta a Zanetto Bugatto, apprezzato “magister” alla corte ducale e presente grazie ad essa nella bottega brussellese di Rogier van der Weyden. L’artista dovette dipingerlo dopo il ritorno in Lombardia, memore di quanto appreso nelle Fiandre, palesando una premurosa attenzione alla verità dei colori e della luce e mettendo in risalto la preziosità dei profili della scura veste e della legatura del codice con le Lettere dell’Apostolo. Tutte e due le tavole dovevano far parte di un monumentale polittico, forse lo stesso che come pala centrale sfoggiava la cosiddetta Madonna Cagnola, un’opera a lungo dibattuta circa l’attribuzione, ma ora annessa convincentemente al catalogo di Zanetto.

Nella stessa sala della galleria la sosta non può esser che lunga davanti alla

Donato de’ Bardi, Presentazione al tempio

Presentazione di Gesù al tempio dipinta da “Donatus Comes Bardus Papiensis”, come si firmò nella commovente Crocifissione ora alla Pinacoteca di Savona. Pavese di nascita, ma genovese d’adozione, Donato de’ Bardi resta un assoluto protagonista della pittura in Liguria, ammirato anche da Zanetto proprio per come aveva saputo elaborare i fertili messaggi della pittura fiamminga e provenzale doviziosamente presente nei palazzi dei mercanti di Genova. Opera davvero di incantevole poesia questa Presentazione, ambientata in uno spazio memore delle chiese del romanico ligure nell’alternarsi dei colori bianco e nero delle colonne e delle membrature. Tutte le figure partecipi all’evento possiedono poi una sofisticata eleganza e la luce, delicata e sensibile, fa brillare i colori delle loro vesti, le trasparenze dei veli e le cadenze dei panneggi sapientemente atteggiati.

Di schietto ambito lombardo, ormai però di Cinquecento sia pure ancora sforzesco, risultano le tre miniature raffiguranti l’Adorazione dei Magi, Sant’Orsola e le Vergini compagne e Cristo giudice. Vengono attribuite in catalogo al Maestro del Salomone Wildenstein, così denominato dal cognome del proprietario del codice,

Maestro del Salomone Wildenstein

 

Maestro del Salomone Wildenstein

il leggendario collezionista e mercante d’arte parigino Georges Wildenstein. Lasciamo gli studiosi a dibattere su chi le creò veramente e, passando dall’una altra, fermiamoci invece a meravigliarci per l’incomparabile finezza delle vignette a partire dallo studio prezioso delle bordure iniziali e apprezzando la ricercatezza delle tinte, i particolari delle vesti e lo sfondo fantastico con la vista di una città lontana nella pergamena di Sant’Orsola con le Vergini compagne. Davvero prove magistrali di un forbito artefice senz’altro tenuto in alta considerazione a Milano dai duchi e dalla loro cerchia quando in pittura, a cui sapevano guardare i miniatori, già si affacciava Bernardino Luini mentre Bergognone era uno dei protagonisti.

Spetta proprio a quest’ultimo artista la Resurrezione di Cristo, scomparto di un polittico dipinto per una chiesa domenicana di Bergamo. Non è in questo caso il Bergognone delle tenere Madonne col Bambino, bensì quello che ha scelto di dare alle figure impronta monumentale e accentuata concitazione. Lo si constata proprio guardando questo niveo Cristo risorto “con raggi a faretti” (scripsit Arbasino) che si staglia davanti a un cielo acceso di azzurro mentre ai suoi piedi le tre guardie nella loro sbigottita agitazione paiono anticipare nuove stagioni della pittura lombarda.

Giuseppe Pacciarotti