Due sposalizi, due maestri della pittura italiana, due dipinti che mostrano il senso di una evoluzione. La Pinacoteca di Brera di Milano ospita il primo dialogo tra un'opera della collezione e un'opera proveniente da altri musei, in questo caso lo Sposalizio della Vergine di Raffaello cui è stato accostato il dipinto precedente e omonimo del Perugino, proveniente da Caen. Un primo tassello dello straordinario lavoro intrapreso dal direttore di Brera James Bradburne per valorizzare le collezioni e rilanciare il rapporto tra il museo e la città.
"Invece di una grande mostra isolata – ha detto Bradburne – un dialogo tra due capolavori e un quadro ospite, in questo caso Perugino, che mai era tornato in Italia dal 1797 e mai i due quadri erano stati esposti insieme. Questo in sé è fantastico, però insieme c'è la proposta di come possiamo rendere visibile e fruibile la collezione permanente d'eccellenza che abbiamo".

Il ritorno della grande pala di Perugino, in Italia dopo più di duecento anni dalla requisizione napoleonica, è stato reso possibile grazie ad un accordo tra il Musée des Beaux-Arts e Brera, che ha concesso al museo francese la Cena in Emmaus di Caravaggio da novembre 2015 a gennaio 2016.

I dipinti dialogano, sotto lo sguardo ieratico di Piero della Francesca, e consentono di vivere un'esperienza a più livelli. Emanuela Daffra è la curatrice di questa conversazione. "E' un accostamento mitico – ha spiegato la professoressa – quello che si trova in tutti i manuali di storia dell'arte, in genere per raccontare la discendenza e il passo avanti compiuto da Raffaello rispetto a Perugino".
Un passo avanti che segna la misura delle lezione di Raffaello, la sua universalità e la sua modernità capace, e la professoressa cita Balzac, di "cogliere il surplus traboccante della vita". "Perugino – ha concluso la curatrice – è nell'epoca prima, quella delle regole. Raffaello riesce a individuare la pienezza umana".
I due sposalizi. Quando Pietro Vannucci, detto il Perugino, dipinge la sua versione dello Sposalizio della Vergine è a capo della bottega più prestigiosa d'Italia. La sua notorietà si fondava sul ruolo primario che aveva rivestito nell'affrescare circa vent'anni prima il registro mediano della cappella Sistina e sulla peculiarietà del suo stile pacato e dolcemente monumentale. La fama del maestro richiama quindi in bottega numerosi artisti tra cui –- come riferisce Vasari –- il giovane Raffaello Sanzio, figlio del pittore Giovanni Santi. Non stupisce dunque che il giovanissimo genio, già pittore affermato, prenda a modello proprio l'opera di Perugino nel realizzare il capolavoro che, a buon diritto, conclude straordinariamente la sua fase formativa, dopo la quale si trasferisce a Firenze.
La pala del Perugino, commissionatagli dalla confraternita di San Giuseppe per la cappella del Santo Anello del Duomo di San Lorenzo a Perugia, venne eseguita fra il 1499 e il 1504 e fu esposta accanto alla reliquia del “santo anello” della Vergine, mentre quella di Raffaello venne realizzata nel 1504 per la cappella di San Giuseppe della chiesa di San Francesco a Città di Castello, località che dista circa sessanta chilometri dal capoluogo. Lo schema compositivo del Perugino riprende il celebre affresco sistino della Consegna delle chiavi, riadattato alla costretta verticalità della pala.
Tornano nel dipinto l'ambientazione della scena su una piazza, l'imponente edificio a pianta circolare e la prospettiva centrale, mentre i personaggi raggruppati in primo piano appaiono in disposizione serrata uno accanto all'altro. Raffaello, pur ripetendo il medesimo schema, distribuisce più liberamente e con maggiore naturalezza i personaggi creando un raccordo visivo organico con l'edificio rialzato del tempio, che diventa il perno di un immenso spazio circolare armonicamente composto.
La straordinaria fama del dipinto di Perugino derivò, fin da subito, dal fatto di essere destinato all'altare della cappella dell'Anello nella cattedrale di Perugia. La reliquia è un cerchietto di calcedonio che, secondo la tradizione, la Vergine avrebbe consegnato all'apostolo Giovanni prima di morire e che nel medioevo giunse a Chiusi, dove era conservata inizialmente nella chiesa di Santa Mustiola poi nella chiesa di San Francesco.
Da lì nel 1473 fu trafugata da uno degli stessi frati del convento, che la consegnò a Perugia, dando inizio a una lotta senza quartiere tra le due città. Fu solo l'intervento di papa Sisto IV a porre fine a ritorsioni e embarghi, consegnando l'anello definitivamente a Perugia. Per alcuni anni la reliquia fu conservata nella Cattedrale all'interno della Cappella dei Decemviri del Palazzo dei Priori fino a che, nel 1488, fu affidata ai canonici della Compagnia di San Giuseppe e conservata, nello stesso Duomo, nella Cappella di San Giuseppe dedicata al Santo Anello, dove è ancora custodita e venerata.
Come in altri casi (il Sacro Cingolo di Prato o il Santo Sangue a Mantova), oltre al suo valore religioso e devozionale di reliquia, l'Anello divenne anche un simbolo con il quale tutta la città si identificava, rafforzato dal dipinto di Perugino che ornava l'altare dello sposalizio per eccellenza, modello ineludibile con il quale confrontarsi.

Nell'esposizione di Brera (in sala XXIV) assieme a Perugino e Raffaello si trova infine anche lo Sposalizio della Vergine di Jean-Baptiste Wicar. Il dipinto fu realizzato dal pittore ritrattista francese – incaricato in età napoleonica della requisizione di opere dalle chiese italiane che esegue l'altra versione del soggetto in sostituzione dello Sposalizio di Perugino per l'altare oramai spoglio della cattedrale di San Lorenzo a Perugia da cui era stato sottratto. Il dipinto farà da guida per raccontare il dipanarsi della vicenda, la storia poco indagata della tavola a Caen e la fortuna del pittore umbro in terra francese.


Primo dialogo
Raffaello e Perugino: attorno a due Sposalizi della Vergine

Milano, Pinacoteca di Brera
17 marzo – 27 giugno 2016
www.pinacotecabrera.org
Milano, Pinacoteca di Brera, Sala XXIV
e nuovo allestimento delle Sale XX-XXIII