Varese – Artisti al lavoro per strada con smalti e colori: camminando per la città nei giorni scorsi in molti li avranno notati. Grazie al progetto di Street Art avviato lo scorso anno per promuovere la creatività contribuendo a ricolorare la città, le cabine semaforiche si sono infatti trasformate in tele d’artista e le strade di Varese sono diventate una galleria d’arte open air.
Quaranta sono stati gli artisti selezionati dall’iniziativa promossa dall’associazione WgArt in collaborazione con la Galleria Punto sull’Arte e il Comune di Varese. Tema del concorso “Varese tra giardini, laghi e monti”.
Ma che cos’è la Street Art?
La città che prende colore, che si accende non solo con le luci dei lampioni, dei fari delle auto e delle insegne o con i volti e le emozioni dei passanti. La città che si accende con i suoi murales, graffiti che le rendono omaggio con un museo a cielo aperto che la descrive e a volte ne racconta i protagonisti.
Una città che diventa viva, dove asfalto e cemento si amalgamano alle pittate – si chiamano così in gergo tecnico – che altro non sono che delle pennellate mosse con i colori acrilici delle bombolette spray, che prendono vita su qualsiasi supporto: muri, cassonetti, centraline elettriche, fabbriche abbandonate, abitazioni, vagoni.
Una forma d’arte in movimento che domina la quotidianità urbana, ecco come potrebbe esser definita la Street Art.
Una forma d’arte che va oltre a quelle scritte sui muri che riportano innamorati, politicanti dell’ultima ora o tifosi disperati, che passavano di lì per caso e con una bomboletta alla mano hanno pensato di parlare col muro.
La street art è la voce degli ultimi romantici, di quei ragazzi che si muovono nel buio e dipingono la città come fosse una tela, la volta di una cappella o la sala di un antico palazzo.
Arte silenziosa, d’impatto, sovversiva, ribelle e mai ordinaria. Un’arte impegnata che, molte volte, viene additata ed equiparata al vandalismo, e forse ne abbraccia in parte il modo di agire violento, quel far sentire la propria voce attraverso una parete, un supporto grigio che ha più voce in capitolo di quello che di norma si è abituati a credere.
I pittori della strada sono i writer ed ognuno di loro ha la sua firma e il suo modus operandi. Non solo tag e graffiti, ma anche stickers, mosaici, solid, poesia urbana, stencil e chi più ne ha più ne metta. Particolari che se un tempo si potevano scorgere solo nelle più lontane periferie, nelle zone industriali o in qualche capannone abbandonato – zone rimaste comunque tra le preferite dei graffitari – oggi arrivano a popolare le vie del centro e quelle dei piccoli paesi, come accompagnatori silenziosi, ma allo stesso tempo urlanti.
Molti sono poi i nomi noti del panorama urbano italiano impegnati nella penisola e all’estero con progetti di rivalutazione del territorio o di diffusione del loro operato, tramite pittate ribelli o mostre istituzionali. Nomi italiani che abbracciano e cooperano con quelli stranieri. Alice Pasquini, Cosimo Cheone, Blu, Ivan Tresoldi, Urban Solid, ExitEnter, Pao, Andrea Ravo Mattoni, sono alcuni tra i tanti “macchiaioli urbani” che si uniscono al nome di Clet, l’artista francese che ha scelto Firenze come base operativa e a quello di TVBOY, lo spagnolo che ultimamente ha ben saputo far parlare di sé nella capitale, con i suoi stickers dai toni politici accesi.
Una corrente quella della street art che ha al suo interno tante sfumature che si intersecano nella giungla urbana, come i fili elettrici guidano le tramvie intrecciandosi nel cielo.
Assalti poetici, note scomposte sullo spartito della strada, composizioni ribelli del quotidiano.
Ileana Trovarelli