Nella mia libreria, proprio a fianco della poltrona prediletta, spicca una lunga serie di volumi dal dorso blu. Un nome è costante: Testori; mutano quelli delle città accanto ad esso: Ivrea, Varallo, Novara, Varese…, luoghi amati e frequentati da Giovanni Testori, passaggi della sua vita, “occasioni, circostanze, date, amicizie, predilezioni, sbandate, scommesse vinte e perdute”, come ebbe a scrivere Giovanni Agosti. Personalità complessa, di forti passioni, da una parte o dall’altra, mai in mezzo, Testori ebbe lunghi ed assidui contatti anche con Busto e se l’assessore alla Cultura trovasse uno sponsor di quelli che una volta c’erano in città, si potrebbe anche qui organizzare, con l’apporto dell’Associazione a lui intitolata, una mostra su Testori a Busto Arsizio da aggiungere alle altre già numerose.
Mostra che potrebbe prendere avvio da Gaudenzio Ferrari e dal polittico dell’Assunta in Santa Maria di cui Testori scrisse nel 1956 una succinta scheda in occasione della rassegna dedicata all’artista valsesiano presso il Museo Borgogna di Vercelli. Un’opera del “suo” Gaudenzio, non certo delle predilette, mentre invece dovette coinvolgerlo la tela del Tanzio da Varallo con San Benedetto tra i rovi della raccolta di Paolo Candiani, tornata ora visibile a Rivoli nella collezione Cerruti. Proprio questa figura di giovane “dalla pelle tesa e prosciugata, dagli occhi freddi e fissi su chissà quale spavento” la volle esporre prima alla “Mostra del Manierismo piemontese e lombardo del Seicento” svoltasi nel 1956 fra Torino ed Ivrea e poi nella rassegna al Tanzio dedicata nel 1959 presso il Palazzo Madama di Torino.
Dovette essere questo forte interesse per l’antica pittura di Lombardia ad avvicinare Testori poco più che trentenne ai collezionisti bustesi di allora: non solo all’architetto Paolo Candiani, in quegli anni presidente dell’Accademia di Brera, ma anche all’industriale Stefano Ferrario che per la mostra di Torino-Ivrea gli prestò una tela di Daniele Crespi con un San Gregorio Magno di forte indagine psicologica. Di questo artista, che si crede sia nato a Busto Arsizio, Testori curò poi nel 1988 una piccola mostra di quadri ben scelti che doveva supplire un’altra, ben più completa e articolata, fatta naufragare qualche anno prima dai nostri amministratori in dispetto a quelli di Varese. Allestita presso la Galleria Italiana Arte di Luisella Alloni Sottrici, essa riuniva opere solo di collezioni private e se non si poté rivedere il San Gregorio di proprietà Ferrario (nel frattempo diventato Sant’Agostino), le eredi di Paolo Candiani, disponibili come il padre, prestarono ben due opere: una Incredulità di San Tommaso e un Cristo morto, variante di qualità di quello visibile nel nostro San Giovanni. Testori scrisse per essa una prefazione, corrusca come sapeva scrivere lui, dove invitava bustesi e no a “goder della forza e della bellezza delle opere, ora fosche e crudeli, ora calme e possenti” dipinte da Daniele Crespi imboccando una strada che fosse d’uscita dalla stordente eloquenza figurativa dei suoi di poco predecessori Cerano o Morazzone.
Non fu tuttavia solo il Seicento lombardo a portare a Busto Testori: negli ultimi decenni del secolo trascorso, quando a Busto ferveva l’attività di gallerie d’arte che contavano, non era difficile incontrarvi il critico di Novate. All’Italiana Arte scendeva dagli amici Sottrici per le inaugurazioni, arrivando con l’ ”incisora” Federica Galli, Alain Tubas e quelli della Compagnia del Disegno per scriver poi recensioni sul “Corriere” delle mostre di de Pisis e Giacometti, tanto per citare. Con la Bambaia di Gianluigi Rebesco non vi furono solo recensioni di Francese, di Guccione e dello scultore Negri, ma anche l’introduzione ad un “libretto”, prezioso come l’oro, pubblicato nel 1978 a corredo di una mostra con una serie di tele riservate da Ennio Morlotti al tema dei Teschi. Testori ripresentò per l’occasione uno dei suoi scritti memorabili, “L’orafo fedele e disperato” e lo accompagnò con una sorta di lettera a Morlotti, ringraziandolo per aver fatto arrivare “nel varesotto basso…la monacale meditazione: laica certo, epperò religiosissima” sulla fine dell’uomo, quasi un prosieguo dei pittori lombardi del Seicento “dove i teschi gemono per ogni dove”. E ancora, incentrandola sul sodale Morlotti, Testori dedicò una lezione-conferenza agli studenti delle scuole superiori bustesi nel novembre del ‘78. Fortunatamente registrata, essa venne pubblicata nel 2002 dalle Edizioni Bambaia in un altro aureo libretto dal titolo Morlotti o la rivincita della pittura. Il dire di Testori, sempre tormentato e sofferto, per l’occasione dell’incontro con gli studenti s’era fatto piano così da accompagnarli con amorevole lucidità nella pittura dell’artista che con essa era riuscito a toccare “il punto nevralgico della nostra esistenza e della nostra storia”.
Ecco, riunire gli scritti di Testori per Busto e accompagnarli con una breve rassegna di opere che in anni migliori dei nostri si poterono vedere in città grazie a persone di acuto gusto e cultura sarebbe davvero un punto d’onore a chi si occupa proprio di Cultura. Perché non tentare?
Giuseppe Pacciarotti