Una delle più celebri versioni del “Milione”, il Libro delle Meraviglie di Marco Polo è conservata in Vaticano. Nel manoscritto si legge: “Se soltanto avessi saputo che sarei tornato indietro, chissà quante altre cose io ricorderei!”
Ecco cosa poteva significare viaggiare per un mercante del medioevo: il ritorno non era previsto.
Tra le tante innumerevoli raffigurazioni sacre scolpite ad onorare il meraviglioso Brihadishvara Temple, nel distretto di Tanjore, si distingue chiaramente l’immagine di un occidentale. I tratti somatici, il cappello, la casacca, la posa: tutto ci porta a pensare che si tratti di uno dei nostri.
Mi viene in mente un solo europeo che potrebbe essere finito da queste parti in epoche remote.
I devoti che si aggirano per il cortile, ci confermano che si tratta proprio dell’effige di Marco Polo. Verifichiamo però con la guida che la costruzione del tempio è posteriore ad una probabile visita del mercante veneziano, quindi, in un restauro successivo, qualcuno ha voluto inserire un ricordo del passaggio dell’esploratore. Ma per quale motivo?
Si sa di certo che, nel viaggio di ritorno, Marco Polo ha seguito una rotta via mare, che pare lo abbia portato proprio in India, sulle coste del Golfo del Bengala. Quindi è davvero possibile che, durante una sosta della navigazione, egli abbia visitato questo tempio.
L‘itinerario di andata dei Polo durò circa 3 anni e mezzo; Marco, il padre e lo zio rimasero presso la corte del Khan per 17 anni, fino al 1292 quando si presentò per loro l’occasione per rientrare in patria.
Lo scopo del viaggio di ritorno era quello di scortare una principessa mongola di nome Kökötchin, che era stata promessa sposa al re persiano Arghun, fino alla corte del futuro marito.
I Polo scelsero per la missione la via del mare, ritenuta più sicura rispetto a quella terrestre e costeggiano la penisola indiana giungendo al porto di Hormuz. Portarono la principessa fino a Tabriz, per scoprire che il promesso sposo nel frattempo era deceduto. La principessa sposò quindi il figlio del re persiano, il giovane Ghazan, dichiarando compiuta la missione e i Polo furono quindi liberi di tornare a Venezia, giungendovi soltanto nel 1295, dopo ben 24 anni di assenza da casa.
Marco Polo rappresenta l’archetipo del viaggiatore moderno, le sue rotte sono tracciate di certo da ragioni commerciali, ma egli si mostra aperto verso tutto ciò che è bellezza, novità, cultura nel senso più ampio del termine. Lo anima una simpatia istintiva per le società nuove che incontra, per i paesi remoti che percorre, verso i quali prova un profondo rispetto che sconfina nell’amore. Con il suo viaggio si è arricchito, oltre che di diamanti1, di conoscenza e di umanità. Questo viandante per vocazione ci insegna che la proattività, la capacità di anticipare necessità e cambiamenti della propria epoca, non è mera conquista e arroganza, ma interesse per quello che ci si presenta davanti, e per ciò che potrebbe esserci oltre al nostro orizzonte presente. Il suo spirito di avventura lo porta a sconfinare di gran lunga dal semplice obiettivo di percorrere la Via della Seta, già tracciata e sapientemente descritta da altri pionieri del suo tempo, come il Vescovo Giovanni da Pian del Carpine, inviato dal Papa alla corte del Khan nel 1245, quindi quasi 50 anni prima dei Polo, per cercare un accordo con il popolo mongolo, temendone l’invasione. A tal proposito, un altro interessante esempio è fornito da Guglielmo di Rubruck, il missionario fiammingo inviato nel 1253 dal re di Francia Luigi IX in Mongolia con lo scopo di evangelizzare l’Oriente. Nonostante il fallimento della sua missione il frate francescano si mostra aperto e curioso, nei confronti del diverso: mette da parte la presunzione di superiorità tipicamente occidentale, caso piuttosto raro tra i viaggiatori del suo periodo. Almeno questo si deduce dall’Itinerarium, il suo brillante racconto di viaggio.
Il nostro Marco Polo però si spingerà oltre poiché il suo intuito che lo condurrà non a imporre la propria cultura, bensì a imparare dal diverso, intrecciare relazioni fra genti, mescolarsi con loro, in una visione di scambi pacifici che anticipa la nostra tanto amata (e poco praticata) globalizzazione.
Marco in questo trovò terreno fertile perché il Kublai Khan stesso volle costruire un impero tollerante e si affidò spesso a vassalli stranieri, che fra l’altro, a differenza dei propri parenti, non avevano interesse a mettere a rischio il suo potere. I regnanti mongoli per lungo tempo apprezzarono il valore di una via di comunicazione sicura e fonte di ricchezza sia per l’occidente che per l’oriente. Verso la seconda metà del XIV secolo il secondo impero più grande della storia cominciò però a disgregarsi e viaggiare lungo la via della Seta diventò sempre più difficoltoso. Grazie all’intuizione di Rustichello da Pisa, rimane la testimonianza di questo illuminato esploratore che ispirò addirittura, due secoli più tardi, un altro viaggiatore italiano: Cristoforo Colombo2.
1 Marco tornerà a Venezia travestito da viandante coperto di una tunica logora in cui aveva cucito diamanti e pietre preziose acquistate lungo il cammino, che permisero alla sua famiglia di comprare un grande palazzo in Contrada San Giovanni Crisostomo.
2 Marco Polo parla di una “Terra oltre il mare”, sicuramente descritta sulla mappa di Paolo dal Pozzo Toscanelli, usata da Colombo nel suo viaggio e a noi purtroppo non pervenuta.
Ivo Stelluti, Il Viaggiator Curioso,
Rameshwaram, Tamil Nadu, India
28 Aprile 2018.