Prime conclusioni – Dopo l'inaugurazione della Biennale di Venezia 2007 (la 52°), cerco di trarne delle conclusioni. Parto da Arsenale e Corderie. L'arte contemporanea esce sconfitta dal confronto con la realtà. Questa la sintesi. Ne faccio un discorso generale, senza entrare nel dettaglio di ogni singolo lavoro o artista. Alcuni notevoli altri pessimi.
Il verso ai mass media – Gran parte degli artisti invitati hanno affrontato temi sociali, locali, statali, globali: religione, ecologia, immigrazione, guerra, povertà, alienazione. Ebbene, sono pochi i lavori interessanti, che riescono ad offrire un punto di vista diverso da quello dei media, a trasmettere un'idea del mondo lontana dagli stereotipi o dal già visto. Alcuni documentano la realtà in modo convincente, altri si limitano a fare il verso ai vari mezzi di comunicazione di massa. Ripetendo la storia con un gesto di superiorità e saccenteria.
Arte borghese – Se l'arte non riesce a comunicare qualcosa che va oltre, allora la differenza tra il lavoro di uno pseudo artista e un qualsiasi video scaricato da internet sta solamente in questo: nel fatto che il primo lo paghi, il secondo lo prendi gratis. E se è giusta questa teoria, questa differenza, allora l'arte è ancora, e solo, un fatto "borghese".
Arte o Youtube? – Prendo ad esempio alcune fotografie o, anzi, il video di Paolo Canevari. Quest'ultimo riprende un ragazzo che gioca a palla con un teschio umano. Il video vorrebbe scioccare? Provocare? Un video scontato che, come detto prima, perde nel confronto con la realtà. Perché i video dei marines sono riusciti a farlo molto prima. Le immagini di cronaca ce le mettono davanti tutti i giorni queste immagini. Anzi, è un lavoro superato dalla realtà proprio perché non riesce a dire nulla di più di quanto purtroppo abbiamo già visto sui mezzi di comunicazione. Non aggiunge niente al discorso e rimane solo un gioco fine a sé stesso. Basta andare su YouTube o Google o Mtv e trovare video semplici ma pieni di verità (o di costruzione scenica), con una forza maggiore e senza nessuna presunzione di voler essere "arte". Anzi, forse vi è molta più arte in quelle immagini amatoriali, ma sono gratis, sono "democrazia" di tutti, per cui non hanno un valore.
Troppi cinesi – Basta andare in internet o aprire un giornale, o accendere la tv, o ascoltare la radio, per trovare ciò che molti artisti hanno voluto rappresentare. Ecco, la presunzione dell'arte. Per fortuna quest'anno i video sono molto pochi, ma quelli che sono presentati a Venezia sono ancora troppi per la loro inutilità. I cinesi sono troppi!
Dov'è il curatore di polso? – Quello che è mancato credo sia stato un progetto forte, una personalità carismatica come Achille Bonito Oliva o come fu Harald Szeemann, nel saper guidare e selezionare lavori e artisti.
Quindi l'Arsenale e le Corderie, gli spazi che avrebbero dovuto esprimere le nuove tendenze, snidare le nuove leve dell'arte, resta solo una lunga camminata che disattende tutte le aspettative, ad iniziare dalla banalissima roba di Luca Buvoli che apre il tutto. Meglio fosse rimasto a New York, facendosi ricordare per il bell'intervento di qualche anno fa.Debbo dire che ho trovato ottima l'idea di ridurre gli spazi di Arsenale e Corderie buttandoci dentro ad esempio l'Africa. Quindi spezzare. Dopo la Biennale dei cinesi, ecco dunque quest'anno quella degli africani. Come l'altra, una scelta politica. Meglio i russi – I Giardini, gli spazi nazionali, vanno un po' meglio. Su di tutti trovo fantastici i lavori di Sigmar Polke, Kara Walker cui do 5 stellette, Sophie Calle, Joshua Mosley, il padiglione olandese, nei paesi scandinavi il tiro con le freccette e i wc "Liberté – Egalité – Fraternité", in Gran Bretagna i disegni di Tracey Emin veramente incantevoli, come un'isola sospesa. Poi ho trovato fantastico il padiglione russo, con un utilizzo del video finalmente contemporaneo e coinvolgente da parte del gruppo AES+F: una commistione di sequenze digitalizzate che ricordano in stratificazioni di memorie videogiochi, pubblicità, racconti epici, lotta, guerra, mitologia, contemporaneità e storia. Anche Julia Milner, sempre al pad russo, è a vedere: caspita, una fanciulla di una bellezza fisica ipnotizzante!
Quindi le ombre di Kara Walker e i video patinati di AES+F. Due modi affrontare la visione della realtà.
Usa deludenti – Gli Usa mi deludono perché non hanno avuto il coraggio di proporre qualcosa di nuovo, ma puntando su una retrospettiva dedicata a Felix Gonzalez Torres. Bravo, bravissimo, ma perché non offrire qualcosa di nuovo sul palcoscenico della Biennale? Perché?
Le solite code per Francia e Germania – Stronzi come al solito tedeschi e francesi, che per strategia, per calcolo, per costruire l'evento e l'attesa, fanno creare lunghissime code bloccando gli ingressi. Senza nessuna necessità pratica dettata da esigenze di mobilità interna, ma puramente per stronzaggine. Per questo non li ho visti. Fanno così ogni anno.
Ci fosse Ontani… – Tra le cose viste in giro per Venezia mi va di scrivere.
Si vede un sacco di gente che non sa minimamente vestire, con un gusto squallido. Scarpe orribili, zatteroni verdi, accostamenti di cattivo gusto. Persone sbarbate con i pantaloncini corti e le ciabattine infradito colorate e corpetti viola. Dovrebbero prendere esempio da Luigi Ontani. Lui è uno con uno stile, una persona di classe.
Quelle dell'Accademia e il padiglione di Tahiti – Nel periodo della Biennale tutti ne approfittano per trovarsi uno spazio di visibilità, due secondi di notorietà. Tra questi, qualche studentessa dell'accademia, almeno a giudicare dalla qualità del lavoro, ha appeso su alcuni palazzi dei coccodrilli colorati in stile cracking art. Anzi, quasi quasi fanno rimpiangere quelle brutte tartarughe dorate di qualche anno fa. Al Fadhil quest'anno fa rimpiangere veramente le sue precedenti iniziative alla Biennale. Molto meglio il 'padiglione ambulante' di Tahiti. Altri hanno affittato una barca mettendo al posto della vela dei disegni. Altri altre pacchianate.
Il peggio – Il peggio del peggio però credo lo abbia toccato Loredana Raciti, con una tra le più brutte installazioni mai viste.
Non so come, mi sono ritrovato alla presentazione stampa: Fabrizia Buzio Negri e Valerio Dehò decantano all'inverosimile l'artista per le sue capacità, per la sua poetica, per la sua ricerca… Rimango incantato da tante belle parole, mi convinco che è la più grande artista vivente… Poi vedo il lavoro e ne rimango sbalordito, nauseato. Va bene, lei è bella, ma questo non giustifica. Mi domando, ma com'è possibile che Dehò passi da una presentazione di Damien Hirst (visto in occasione della mostra al Palazzo Pesaro Papafava) a quella della Raciti? Allora capisco questo: i critici basta pagarli e riescono ad incicciare qualsiasi tesi artistica. Capisco che non è possibile, ma i critici non hanno nessuna morale. Sgarbi docet. Altrimenti non è possibile. Dico, non è umanamente possibile che una simile accozzaglia di stivali, stoffe, candele, video, stampe abbia un minimo, dico un minimo di giustificazione critica. Però devo essere sincero, una cosa di buono, in tutto questo però c'era: il rinfresco, di una ricchezza e bontà assoluti.
Che brutta razza i critici.