Uno scrigno ricco di tesori – Alla lettura scorrono lentamente le pagine del libro che il Conte Giuseppe Panza di Biumo ha steso nel corso della sua vita e che Varese ha conosciuto solo qualche mese fa. Un vero e proprio testamento artistico, culturale, morale. Un ritratto tracciato in prima persona di un personaggio che è diventato tale per merito della sua semplicità, del suo essere spesso schivo, del suo andare dritto all'obbiettivo e seguire sempre e solo i suoi desideri, inevitabilmente commettendo anche degli errori.
Le sue origini – Il libro si apre con alcuni capitoli in cui vengono delineati i grandi affetti di Giuseppe Panza; i genitori, i nonni, l'abitazione milanese in via Montenero distrutta dai bombardamenti nel '43. Panza nel ricordare i familiari descrive ampliamente lo zio Angelo, quel Mantegazza fortemente legato alla storia artistica cittadina degli anni Venti, quando acquista il castello di Masnago le cui pareti erano allora ancora intonacate di bianco; il suo intuito e la sua passione per l'arte lo portano alla scoperta dei preziosi affreschi oggi ammirabili dal pubblico. Il legame con Varese si rafforza negli anni Trenta quando il padre Ernesto acquista la Villa di Biumo: "Era il 1935, avevo 12 anni, rimasi molto colpito, quando, durante le trattative di acquisto, vidi il giardino e la facciata interna della villa, un luogo di una bellezza di sogno".
I primi passi nel suo mondo – "Nel 1946 conobbi lo scultore Vittorio Tavernari; fu lui che cominciò a introdurmi nel mondo dell'arte". Fu uno di quei legami che durarono fino alla prematura scomparsa dell'artista varesino; a lui il merito di aver avvicinato Panza all'arte Astratta. Era anche tempo, terminati gli studi in legge, di decidere se proseguire nell'attività commerciale di famiglia o seguire quella che già sentiva essere la sua passione: la storia dell'arte. Nel '49 scompare il padre. Poco dopo per il giovane si apre un nuovo mondo: si innamora della ragazza che diventerà sua moglie e starà al suo fianco per tutta la vita condividendo con decisione ed entusiasmo il percorso di crescita; la coppia avrà una famiglia numerosa, cinque figli, quattro maschi e una femmina.
Il Nuovo mondo – "Era la fine di marzo del 1954 il giorno del mio arrivo a New York; credo che fosse il 23, il giorno del mio compleanno, 31 anni, un gran giorno, una grande scoperta, la visione del futuro". Questo primo viaggio segna dunque l'inizio di una nuova vita e di una nuova visione del mondo; iniziano in questi anni i rapporti con i massimi esponenti dell'arte americana e non solo, le amicizie con i galleristi, i critici, che si tramutano nei legami forti e preziosi della vita. Se i primi quadri vengono acquistati a distanza, studiandoli e osservandoli in fotografia, il legame con gli artisti e le loro opere col
tempo diventa diretto; di ognuno Giuseppe Panza ricorda l'incontro, la visita nello studio, lo stile, l'effetto e le emozioni che le opere gli suscitavano. Spesso negli anni si trova costretto a rivendere opere della collezione che stava prendendo corpo per comprarne di nuovi, passando dall'Astratto alla Pop Art e via via attraverso le correnti e le forme artistiche che si affacciavano sul panorama contemporaneo.
Il primo amore per Frank Kline, seguito da Mark Rothko, Jean Fautrier, Robert Rauschenberg, passando poi a James Rosenquist, Claes Oldenburg. L'interesse si rivolge col tempo alla Minimal Art e in particolare all'arte di Dan Flavin, artista di spicco oggi nella collezione della villa di Biumo. Il susseguirsi di artisti di fama internazionale che ancora oggi dichiarano l'unicità e la preziosità della collezione Panza, si protraggono fino ai giorni nostri: artisti dal calibro di Turrel o Kosuth che hanno segnato le scelte recenti fortunate esposizioni sul colle varesino, non sono altro che dei piacevoli ritorni. La villa è stata per il conte un punto di riferimento importante, un 'salotto' d'arte mondiale per tutto il secolo scorso.
Un ventennio intenso – E' tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta che maggiormente si sviluppa il collezionismo di Panza, allargando le vedute anche ad artisti inglesi e italiani. Un periodo rimane inesplorato per il lettore, un vuoto di circa vent'anni lo porta direttamente alla fine degli anni '90. "Che volgarità (…) Rothko: sono prove di colore di un imbianchino (…) Ryman: sono tele preparate per essere dipinte (…) Non è arte", erano frasi che spesso Giuseppe Panza sentiva a commento delle opere esposte nella sua collezione. La difficoltà di far comprendere e in un secondo momento apprezzare i lavori da lui scelti è sempre stata una grossa difficoltà
affrontata da un uomo intelligente e ricco di cultura che ha tramutato queste affermazioni in un forte stimolo a sintetizzare le sue idee: "E' stato un aiuto alla mia comprensione dell'arte".
"Il mio grande piacere è vedere come gli altri amano ciò che io ho amato. Non mi stanco di rivedere le opere collezionate e che ho disposte negli ambienti più adatti. Questo lavoro sta dando i suoi frutti; ormai tante persone condividono il mio piacere. Questa condivisione dilata il mio piacere. Vedo che tante persone sentono rinnovarsi lo spirito vedendo quello che ho fatto insieme a mia moglie ; è la stessa esperienza che provo ogni volta. La bellezza è immortale, può subire le conseguenze dell'alternanza delle mode intellettuali, ma meno di ogni altra manifestazione culturale"