Il senso della conferenza – Lo rivela Stefano Crespi, presentatore della serata assieme a Nicoletta Gentile, editrice della collana fiorentina "Atelier", di cui il libro di Mario Botta fa parte. Tutto nasce da un incontro tra l'architetto, Crespi e Duillio Affani – gallerista di Chiostro Artecontemporanea di Saronno – alla presentazione di un volume della raccolta "Atelier" a Bellinzona. Lo spirito che attraversa i libri editi da "Le Lettere" affascina Affani che, nella propria galleria, organizza una mostra di quadri dipinti dagli autori di quegli scritti (esposizione in corso) e dedica una serata a Mario Botta.
Quasi un diario – Le parole di Crespi illuminano sul significato del titolo del libro di Botta: "è un diario, cioè uno scritto che vive del vissuto, del ricordo, di frammenti irriproducibili, di incontri, di emozioni, che è così raro trovare in un architetto", sottolinea il critico d'arte, il quale continua esprimendo tutta la sua ammirazione per un uomo come Botta in cui "c'è il qui del mondo", cioè un legame al proprio villaggio d'origine, alla propria memoria, nonostante abbia lavorato in tutto il mondo e si sia confrontato con architetti di fama mondiale, come Le Corbusier, Louis Kahn e Carlo Scarpa. Quel "quasi" davanti a diario, però, ne riduce la matrice emozionale, sentimentale. Il volume, infatti, si concentra anche sulla riflessione teorica sull'architettura. Significativo il pensiero di Botta che nell'oblio vede il corrispettivo della globalizzazione e della velocità, cioè una architettura che si faccia sopraffare dalla globalità, con tutto il senso che questo concetto comporta, è destinata a scomparire.
Uomo, segno e memoria – Molti degli edifici costruiti dall'architetto svizzero parlano di umanità, di presenza iconica nel tessuto urbano e di rispetto per il contesto, la tradizione e per l'identità storica dello spazio che le sue architetture organizzano. La capacità comunicativa, la presenza segnica contraddistinguono di certo la Galleria d'arte Watari-um nella Babele moderna, la città di Tokyo, dove Medioevo e contemporaneo si intersecano e sovrappongono in maniera inestricabile. Così come assolutamente presente e differente dal contesto di una città anonima, come la San Francisco degli ultimi vent'anni del Novecento, si erge il Moma con quella sorta di rosone centrale che richiama alla mente le cattedrali europee e indubbiamente anche l'attenzione su di sé, togliendola ai grattacieli vicini. "L'architetto deve lavorare sul territorio della memoria", dichiara Botta, "perché non esiste consapevolezza del presente senza memoria! Questo è l'antidoto alla globalizzazione che implica accelerazione e quindi oblio. Il nuovo diventa una scommessa interessante nei due registri della contemporaneità e della storia, del vissuto, dell'identità.
La città europea è forse l'ultimo baluardo alla follia della globalizzazione, perché viviamo circondati dal passato, da cui non possiamo prescindere".
La vetrata che disegna il vuoto – E il passaggio dalla storia alla modernità si esprime nella spettacolare via che porta dalla strada storica di Rovereto alla piazza antistante il MART, creata forando il muro di collegamento dei due palazzi Cinquecenteschi, affacciati sulla via principale, che avrebbero occultato la visione del nuovo Museo d'arte moderna e contemporanea: una soluzione che concilia il rispetto per la tradizione e inneggia al futuro con la stupenda piazza coperta da una vetrata che disegna il vuoto. Numerosi altri edifici raccontano l'architettura di Botta, declinata nelle imprese più disparate, dai musei alle cantine vinicole, dai centri benessere alle sinagoghe, dai teatri alle chiese cristiane, ma sempre con l'idea ben chiara che l'architetto non deve astrarre dal contesto in cui costruisce e non trascuri il fatto che progetti per le persone e per le città, non contro l'uomo e contro il tessuto urbano. Se le periferie delle città sono brutte, come qualcuno dalla platea gli fa notare, "è perché", risponde lui, "sono specchio di una società violenta e ghettizzata. Ma non si dimentichi di considerare anche che un progetto parte sempre da una committenza, che spesso è politica…".