Critico d'arte militante nel segno e nel solco di Vittorio Sgarbi, ma tra i pochi in grado di tenerlo a bada pubblicamente, e per di più davanti alle telecamere. Omosessuale dichiarato, ma polemico contro la mostra Vade Retro, che avrebbe dovuto essere il totem dell'arte gay. Laico ma capace di prendere una posizione forte a favore di Benedetto XVI. Dandy, dai gusti sofisticati, un Oscar Wilde contemporaneo, ma anche consigliere del III governo Berlusconi in materia di finanziamento di progetti culturali. Un corto circuito perenne, elegante e di mondo. Alberto Agazzani, storico e critico d'arte, intratterrà il pubblico insieme a Philippe Daverio al Gallarate Poesia Festival, sul tema del corpo nell'arte. L'appuntamento è per lunedì 4 febbraio, ore 21.
Alberto Agazzani, quale l'idea di fondo di questo incontro?
"Mi pare che il tema di questa edizione del Festival sia quella del corpo e della trasversalità di questa nozione, tra poesia e arte visiva che è un altro modo di fare poesia, senza le parole ma con le immagini. L'intento mio e quello di Philippe Daverio sarà quello di fare un viaggio attraverso immagini che siano emblematiche e particolarmente significative dell'utilizzo del corpo e della nozione stessa di fisicità nello sviluppo dell'arte".
Da Caravaggio a La Chapelle, perché questi due estremi?
"Caravaggio è l'artista che recupera prepotentemente una idea del corpo umano come macchina sensoriale, come natura viva lontano dall'idealità rinascimentale, priva di carnalità, di sensazioni dolorose, dell'idea del sangue. La Chapelle è l'estremo opposto; paradossalmente riporta il corpo a quella stessa nozione di idealità. Riporta indietro a Michelangelo che idealizzando l'anatomia ne esasperava le tensioni al massimo, nei suoi nudi allo spasimo; un'operazione che adesso è fattibile, non più solo in pittura, ma con la chirurgia plastica e nella foto digitale. Ma spero ci sia la possibilità di partire ancora prima".
Vale a dire?
"Da più lontano, spiegando, sotto forma di chiaccherata, non certo da lectio magistalis, quando nasce il problema della rappresentazione del corpo e quali significati dare a questa rappresentazione; dall'arte paleolitica e dall'antico Egitto. Dalla Venere di Willendorf, scolpita 25 mila anni fa e che è impregnata da desiderio di fecondità e fertilità, alle immagini mentali, culturali dell'arte egiziana. E da lì, sperando che il pubblico si diverta, continuare l'excursus attraversando l'arte Grecia fino al moderno".
Lei è uno storico e un critico d'arte affermato su più piani. Nella linea della figurazione, quella tracciata per lo più da Sgarbi, almeno negli ultimi anni. Ma tra voi non sono mancati gli scontri.
"Da almeno quindici anni mi occupo per scelta solo di pittura e scultura figurative. E per ragioni contingenti posso dire di essere rimasto tra i pochi. Sgarbi non riesce più ad aggiornarsi, i suoi due più vicini collaboratori, Massimo Riva ha avuto i suoi problemi, Maurizio Sciaccaluga purtroppo è deceduto".
Proprio in merito alla famigerata mostra sgarbiana "Vade retro", annunciata, pronta per l'inaugurazione e poi improvvisamente cancellata, lei ha avuto critiche molto pesanti. Qual era il nodo della questione?
"Che era uno spettacolo di banalità. Esteticamente discutibile, per le troppe opere brutte presenti. Eticamente ancor peggio, perchè ha dato dell'omosessualità un'idea offensiva e mortificante. E lo dico da gay dichiarato".
Sull'argomento ha scritto un articolo perentorio su "Il domenicale". Sostenendo queste ragioni e prendendo le "difese" di papa Benedetto XVI, di cui in mostra vi era un ritratto dissacratorio dello scultore Paolo Schmidlin.
"Un articolo che molte persone di cui ho stima e di cui posso temere il giudizio hanno molto apprezzato. Anche gli stessi ambienti ecclesiastici nonostante i presupposti, il mio essere omosessuale ad esempio, non fossero tra i più ovvii ad una buona recezione della mia posizione".
E con Sgarbi come è andata a finire?
"Ci siamo incontrati nel corso di una trasmissione televisiva, presente anche Angelo Crespi, il direttore de "Il domenicale". Sgarbi ha insultato entrambi. Gli ho ricordato che poco tempo prima mi aveva salutato come il migliore dei suoi allievi. Diciamo l'abbiamo messo con le spalle al muro, politicamente e dal punto di vista storico-artistico. Ha una dialettica formidabile, ma i suoi atteggiamenti risultano spesso deleteri. Ma tutto sommato è stato anche divertente".
Lei fa parte di quei professionisti che Philippe Daverio definisce "accelleratori di idee"; professionisti chiamati spesso da enti e istituzioni a produrre progetti culturali se non veri e propri programmi.
"Sono prima di tutto uno storico e un critico d'arte. Poi certo esiste anche questa disponibilità a collaborare in questo senso. Ad esempio, alcuni indirizzi indicati da me sono all'origine di contributi finanziari spesi da Arcus; che è la società per lo sviluppo della cultura, nata nell'ultima fase del governo Berlusconi sotto l'egida del Ministero dei Beni Culturali e quello delle Infrastrutture. Una S.p.a. chiamata a destinare il 5 per mille delle risorse investite in opere infrastrutturali, alla ricostruzione del paesaggio e alla valorizzazione del patrimonio artistico e di cui ho ricoperto la carica di consigliere del vice presidente".
A questo proposito: nei mesi scorsi, prima che si definisse il ruolo di Daverio, è stato fatto anche il suo nome tra i possibili interlocutori in qualità di consulente della futura Gam.
"Mi è stato richiesto un parere. Ho presentato delle proposte espositive. Ma mi è sembrato subito evidente che prioritaria fosse un'operazione mediatica molto forte. Tutto sommato mi pare che la scelta di Arte e Design, sia forse maggiormente indicata per un indotto come Gallarate e la sua storia. Ma non è da escludere in futuro qualche collaborazione. L'incontro con Daverio in occasione del Festival di poesia potrebbe essere, in questo senso, 'propedeutico'".