La Città Giardino non porta solo esempi dell’architettura della Belle Époque. Il suo volto fu trasformato durante il Regime in qualcosa di assoluto e moderno.
Sarebbe scontato dedicare l’ennesimo contributo alla ‘Varese Liberty’ tanto discussa negli ultimi tempi.

Varese non è solo Liberty. È molto di più.

La nostra città vanta, infatti, secoli di storia, dal periodo preistorico alla prime notizie di epoca romana dove si faceva riferimento nei documenti a una certa Varisium, dal privilegio di non essere infeudata concesso dall’imperatore Carlo V nel 1538, alla signoria di Francesco III duca di Modena che concesse alla città abbellimenti e miglioramenti, fino ai primi del Novecento con l’avvento della grande stagione del Liberty italiano (che conosciamo tutti alla perfezione!).
Nel 1926 Varese fu istituita Provincia.
Già da sei anni in Italia ‘regnava’ il Regime Fascista e già a Varese si potevano trarre i risultati di quell’intensa attività edilizia e programmatoria del progetto ideologico del Regime, volta alla trasformazione delle città di provincia (come anche Como, Bergamo e Cremona) manifestazione per eccellenza della volontà politica fascista.
Fu così che Varese, ideale città simbolo per la sua tradizione artigianale, per lo sviluppo industriale, per l’ottima posizione geografica e per la sua cultura artistica, diventò scenario di una radicale e moderna trasformazione edilizia, piegandosi al volere del Regime.
Varese fu idealizzata come ‘la Città Giardino’. Dietro le quinte però una grande massa di capitali si muoveva per finanziare le grandi opere pubbliche realizzate tra il 1922 e il 1938.“LAVORARE E COSTRUIRE”, questo il loro motto.La monumentalità doveva essere la caratteristica indiscussa della loro architettura, corrente che prese il nome di “NOVECENTISMO”e che andò a sostituire la lezione razionalista di inizio Novecento.
Verticalismo, soluzioni d’angolo, volumi squadrati, vuoti e pieni enfatizzati negli edifici ex novo che stravolsero il volto del vecchio borgo varesino, bisognoso di modernità, in qualcosa di assolutamente nuovo.Il viaggio attraverso l’Arte Fascista in Varese comincia da qui, dall’architetto Vittorio Ballio Morpurgo e dai suoi due edifici (entrambi del 1928), ancorati a un’arte passata, difficile da dimenticare.

Il CONVITTO CIVICO di Via Pasubio (ex sede degli Uffici dei Beni Architettonici e della Viabilità della Provincia di Varese), una soluzione esemplare, di gusto ancora tardo barocco per l’articolazione e gli sviluppi volumetrici, che conserva al suo interno un ricco apparato decorativo firmato GIULIO ROSSO.
Pittore, decoratore e illustratore toscano, attivamente presente nella città di Varese, Rosso acquistò nel ventennio fascista una certa fama e notorietà per la decorazione di edifici pubblici e privati in molte città italiane (lo Stadio del nuoto, al Foro Mussolini a Roma, il Teatro Savoia a Firenze, Piazzale dell’Impero al Foro Italico, la Stazione Ostiense…). 

Pressoché sconosciuto in terra varesina, fu anche l’autore del ciclo decorativo ispirato a momenti di vita quotidiana del secondo edificio di Morpurgo, la CASA DEI BALILLA di Via Copello, di gusto Neoclassico ispirato all’architettura romana cinquecentesca (si veda l’alto basamento a bugnato e i rilievi decorativi interni), di una bellezza straordinaria, semplice e chiaro, di armoniche proporzioni.

Giulia Lotti