A Novara non ci sono boulevards e bois e quindi nemmeno De Nittis e Boldini a dipingerli, ma l’Allea e i Baluardi sì, e con un foliage dai colori fantastici in questi giorni d’autunno. Per gli amatori, che sono tanti, della pittura dell’Ottocento è tempo dunque di andare al suo castello Visconteo Sforzesco dove METS Percorsi d’arte ha allestito la sua settima mostra dal titolo Realtà Impressione Simbolo. Paesaggi. Da Migliara a Pelizza da Volpedo.

Tornano anche in questa occasione, e fino al 6 aprile del prossimo anno, pittori cari – Fontanesi e Piccio, Bazzaro e Gola, Mosè Bianchi e Segantini giusto per nominare – e ve ne sono altri, magari meno conosciuti ma ugualmente di valore, e tutti. In nove sezioni organizzate con alacre cura da Elisabetta Chiodini, son lì ad evidenziare l’evolversi dell’idea del paesaggio tra i “nostri” (nel senso di lombardi, liguri e piemontesi) pittori dell’Ottocento.

Marco Gozzi, Ponte di Crevola sulla strada del Sempione, collezione privata

Dà l’avvio una versione in formato ridotto – quella “ufficiale” è a Brera – del Ponte di Crevola sulla strada del Sempione, circa 1821, dipinta dal bergamasco Marco Gozzi, pittore sotto contratto del Regio Governo Austriaco per riprendere i “migliori punti che offrono la Lombardia e i suoi dintorni”, non però quelli più ameni, ma dove l’opera dell’uomo era intervenuta a migliorarla, evidenziandone il suo progresso sociale ed economico. Una visione questa della pittura topografica di lucida e analitica riconoscibilità, già contraddetta nella seconda sala dove s’impone la grande tela del tedesco Julius Lange raffigurante un Paesaggio nordico con montagne che vorrebbe possedere ancora i brividi del romanticismo ma, dipinta nel 1852, è solo al limite dell’anacronismo. Di emozioni meno profonde ma volte a una pittura nuova i nostri Piccio e Fontanesi che sceglievano non solo corottiane dissolvenze su fiumi e ruscelli con verdi umidi e intrisi di luce, di acqua e di natura. Non furono pochi a scegliere con loro questa pittura d’atmosfera e in mostra lo esemplano convincentemente il portoghese, ma ligure d’adozione, Alfredo De Andrade e i genovesi Ernesto Rayper e Tammar Luxoro che con la sua Via ferrata esalta sì il progresso, ma “con juicio” e lascia padrona la natura nel suo vasto e palpitante respiro.

Nel serrarsi di espressioni artistiche dove talvolta non è facile distinguere tra l’una e l’altra, la “pittura d’impressione”, come ha titolato Elisabetta Chiodini una sezione, ci riporta alle suggestioni del lago Maggiore ripreso tante volte da Filippo Carcano nella sua quiete mattutina o in vista dell’Isola Pescatori preferita come soggetto alla vicina Isola Bella troppo importante con il suo fastoso palazzo.

Leonardo Bazzaro, Passa la funicolare, collezione privata

Il Verbano che si apriva alla villeggiatura borghese diventò un soggetto caro e ripetuto e al castello di Novara una sala è tutta dedicata a Leonardo Bazzaro, il maestro del naturalismo lombardo che aveva villa, diventata ritrovo per artisti e intellettuali, all’Alpino sopra Stresa, poco discosta da quella di Toscanini. Un luogo “di meravigliosa giocondità di vedute” annotavano le guide turistiche, ideale anche per ritrarre la moglie Corona nata contessa Douglas Scotti e le sue svagate amiche in leggere, candide vesti mentre “fra i tronchi diritti scintilla lo specchio del Lago turchino” come poetava Gozzano.

Il naturalismo non poteva non toccare la raffigurazione del paesaggio urbano e Mosè Bianchi ne fu un fido illustratore ma con ben altra resa lo interpretò Giovanni Segantini nel suo periodo milanese. Il Naviglio a ponte San Marco possiede infatti un’inedita impostazione compositiva bloccata dal palazzo a piombo sul canale e ritmata dalla sequenza dei ponti ed è intriso di luce che vince sulle ombre dense dell’acqua e accende i colori dei panni distesi sull’alzaia e degli immancabili ombrellini delle signore milanesi a passeggio.

Giovanni Segantini, Mezzogiorno sulle Alpi, Skt. Moritz, Fondazione O. Fischbacher-Giovanni Segantini

L’ultima sezione è riservata al paesaggio nel divisionismo: il confronto fra due tele di soggetto identico – Nebbia domenicale – dipinte però a venticinque anni di distanza da Angelo Morbelli farà bene intendere l’elaborazione compiuta dall’artista alessandrino nell’analisi naturalistica e nella ricerca della luce. Di Pelizza c’è La Clementina, una tela raffigurante una cascina appena fuori Volpedo, esposta per la prima e ultima volta alla Biennale del 1909, un quadro che se non fosse divisionista potrebbe essere di Fontanesi. E poi ancora Segantini che coinvolge, non solo con l’Amore alle fonti della vita commissionato dal principe russo Felikx Yussupov (quello del complotto contro Rasputin), intriso di idealità più o meno letteraria e spirituale, ma anche, e soprattutto, con Mezzogiorno sulle Alpi, prestito generoso della Fondazione Otto Fischbacher-Giovanni Segantini di Sankt Moritz. È un’opera che non si stanca mai di ammirare e tutti si vorrebbe essere lì, al posto della Baba, immersi in quella silenziosa e misteriosa vastità che nemmeno le montagne coperte di neve abbagliante riescono ad arginare.

Giuseppe Pacciarotti