Immaginifico, torrenziale, carico di parole che si accendono come e talvolta più dei suoi lavori pittorici, Giorgio Vicentini è alla vigilia di una personale alla galleria Duet Art e di altre importanti tappe nella sua carriera di artista, giunta ad una nuova svolta, ad una piena consapevolezza, ad una quasi felice convinzione di essersi liberato dalle proprie paure. “Ho scoperto l'apparizione. Ho trovato la benzina” dice con l'irrequietezza di un esordiente, mentre si aggira nel suo piccolo e stracolmo “orangierie” di Induno Olona. Ma anche la serietà lievemente ieratica di chi ha ormai una lunga, rigorosa, militanza, e severa, nel campo della pittura astratta.
Vicentini, quest'ultimo ciclo si chiama Colore Crudo. Perché?
“Crudo perché ho tolto tutto il non necessario della mia pittura precedente. Ho sentito tutta la stanchezza dell'astrazione. L'astrazione in Italia è ferma a Claudio Olivieri, non c'è più il dato rabbioso, non c'è più protesta. In queste opere credo di di aver superato quello che sentivo anche come mio limite ed una mia paura. Ho trovato l'apparizione del colore, astratto, ma definito, proprio come se fosse una rivendicazione ad esistere del colore in quanto tale. Per questo crudo. E spietato”.
In queste opere dominano tre elementi: il ricorso alla tela, in molti casi il formato quadrato e la presenza del poliestere
“La tela ed il formato 100×100 sono assolute novità per me. E rientrano nel discorso di prima. Sono supporti classici del fare pittura. Ho sempre usato vie traverse nel mio fare: supporti di legno, zinco, forme atipiche, mai la tela, e soprattutto mai il formato perfetto. Sono cose, queste, che ai pittori di una volta ancora suscitano emozioni profonde. Quanto al poliestere, è un medium che ho scoperto quando ho realizzato un lavoro al Map di Castiglione Olona”.
Come può entrare lo spirito e la pratica della pittura dentro la dinamica dell'utilizzo di questi medium plastici?
“L'applicazione sulla tela è solo l'ultimo dei passaggi. Inizialmente utilizzo un foglio di polistere. Su questo dispongo istintivamente piccoli punti di colore cui vado a sovrapporre, lievemente disassata, un'altra valva di poliestere. Premo le due superfici. Così facendo tolgo l'aria al colore, che rimane coeso, lo salvo dal martirio, dalla secchezza. E ho sempre pronto anche dopo ore, giorni, il colore come un territorio morbido, reattivo, come appena uscito dal tubetto”.
E a questo punto?
“A questo punto intervengo. Lavorando molto. Devo scaldarlo, devo fargli sentire che gli voglio bene. Posso usare le mie mani per mischiare i colori, posso usare, i pennelli, posso usare un portaocchiali, qualsiasi oggetto mi permetta di espandere il colore sulla superficie plastica. La processualità è varia, può essere lenta o veloce. Finché appare l'immagine che voglio, che sento che deve apparire. Una immagine cromatica. Qui avviene il distacco dei due fogli di polifoil, come un recto e un verso. Ed è a questo punto che intervengo a ritagliare tutto quanto non mi serve del colore, dal foglio di plastica. Mi può bastare un piccolo ritaglio, una sagoma particolare. Tutto il resto lo butto via. Butto via un enorme quantità di materiale. E poi, lo applico sulla tela. Ed è un momento altrettanto complesso. Far sposare la perfezione della tela con i ritagli, non dare le profondità giuste, è un errore grave”.
Qual'è il significato ultimo di questo processo? Dove sta andando la pittura di Giorgio Vicentini?
“Prima parlavo di rabbia. Io credo di averla ancora questa rabbia o di averla ritrovata in questi lavori. Di aver trovato la strada. Mi è sempre piaciuto giocare con il colore. Ma adesso sento di avere una struttura alle spalle, ho i miei codici, ho la conoscenza dello spazio pittorico, non c'è solo l'istinto o il braccio. Mi accorgo che meno rappresento e più viene fuori l'immagine”.
Prima ha citato anche il concetto di paura. In che senso?
“La paura connaturata all'astrazione. Alla mancanza di un fuoco visivo dentro le mie opere. E che mi portava spesso ad usare formule come il dittico, il trittico o il polittico, per sottolinearne l'importanza. L'astrazione che seguivo era la totalità dello spazio dipinto. Ma io cercavo un soggetto, che non fosse una figura perché non sono un pittore da figura, e quando lo trovi lo capisci subito. E' ancora più forte, è sorprendente. E' l'apparizione. La mia strada, appunto. La mia benzina nuova”.