Dalla stazione Duomo della metropolitana, per raggiungere Via Nerino 2, dove ha sede la Nuova Galleria Morone, per una intervista a Diego Viapiana titolare dello spazio, il percorso obbligato si snoda per via Torino con continui slalom tra persone che si arrestano inaspettatamente attratte dai prodotti esposti nelle vetrine; chi improvvisamente cambia direzione rischiando scontri frontali e chi a testa bassa, al pari di gnu in migrazione lenta, catalizza la sua attenzione sullo schermo del cellulare.
Svoltare in Via Maurilio rasserena e maggiormente quando si imbocca via Nerino.
Accolti con cordialità e conoscendo la nostra predilezione per le opere di Maria lai, Diego Viapiana ci riserva la gentilezza di farci accomodare di fronte a una sua tela, e l’intervista ha inizio.
Lei ha conseguito una laurea 110 con lode in Conservazione di Beni Culturali, a questo punto è interessante sapere quando è iniziata la sua passione per l’arte.
“Ero in gita scolastica ad Assisi e mentre i miei compagni erano presi da altri interessi entrai in Basilica e rimasi incantato dagli affreschi di Giotto, da li ho iniziato a interessarmi di arte, ma mai pensando di arrivare a fare il gallerista. Alla fine degli anni ’90 sono venuto a Milano con l’intento di capire, in prima persona, i meccanismi insiti nell’arte contemporanea, anche perché l’ambiente universitario manifesta pecche riguardo alla contemporaneità dell’arte”.
E’ poi approdato alla storica Galleria Morone fondata da Enzo Spadon, apprezzata per la coerenza espositiva.
“Si, aveva una linea precisa, dall’informale, all’astrazione lirica, in quel periodo ho potuto frequentare conoscere artisti di alta levatura, poi dopo tredici anni ho fatto il passo decisivo mettendomi in gioco in prima persona, modificando di poco il nome dello spazio che è diventato Nuova Galleria Morone, dando così vita a una Galleria con differenti scelte espositive”.
Come mai al di la dell’aggettivo “Nuova” non ha cambiato il nome della galleria?
“Innanzi tutto per riconoscenza nei confronti di chi, nel corso di tredici anni, mi aveva permesso di acquisire una notevole esperienza e inoltre avevo il timore che proponendomi con un nome nuovo avrei rischiato di perdere un certo numero di collezionisti, anche se poi, ne ho spiazzati molti con le mie scelte espositive”.
Lei ha al suo fianco una valida collaboratrice, quanto è importante poter contare sulla competenza altrui?
“I miei collaboratori sono al mio stesso livello, in mia assenza fanno le mie veci, mi riferisco soprattutto a Mara Pradella, è fondamentale che si lavori tutti nella stessa direzione. Quasi quotidianamente si presentano artisti che ci propongono i loro lavori e la nostra peculiarità, siamo tra i pochi, consiste nel dare a tutti una risposta”.
Oltre alla Galleria lei ha avuto l’intuizione di ideare la Project Room.
“ Che adesso fanno in tanti “ afferma sorridendo “ E’ uno spazio indipendente, nato sei anni fa e deve essere inteso come opportunità progettuale, non si deve pensare esclusivamente alla vendita anche se non è escluso possa accadere, deve essere un’esperienza tale da permettere all’artista una più completa comprensione del suo lavoro. Alcuni nella Project Room riescono a conferire al loro operato una potenza che non riuscirebbero a esprimere in Galleria”.
Per i loro acquisti i collezionisti, in questi ultimi tempi, frequentano fiere, acquistano alle aste, visitano gli studi degli artisti in quanto sono raggiungibili attraverso i siti internet. Ha ancora senso essere gallerista?
“Secondo me si, innanzi tutto perché il collezionista attuale è in gran misura un collezionismo speculativo, non acquistano per amore. Uno stand in fiera non ha la stessa pregnanza di una galleria, vedere una mostra in Galleria è importante per capire a pieno il lavoro di un artista e di conseguenza stabilire un rapporto di fiducia con il gallerista. Il mio compito fondamentale consiste nell’educare il collezionista. Purtroppo in Italia si è esagerato con le fiere, nonostante ciò, il vero collezionista frequenta le gallerie. I galleristi di levatura internazionale hanno fior di banche alle spalle e possono permettersi di decidere a tavolino le quotazioni di qualsivoglia opera d’arte. Sono convinto che molti che acquistano adesso Fontana, non hanno compreso il significato del taglio, lo acquistano perché è uno status symbol e perché è un assegno circolare che aumenta di valore con il passare del tempo. Insomma si deve acquistare per amore perché con un’opera d’arte ci si convive”.
Lei ha avuto l’intelligenza e la sensibilità di presentare a Milano le opere di Maria Lai quando i più si erano dimenticati del valore di questa grande artista.
“Ne avevo sempre sentito parlare; è stata una mostra vista a Palazzo Grassi a illuminarmi. Nel 2009 mi sono messo in contatto con lei e nel 2012 l’ho ospitata. L’ho sempre considerata una bravissima artista purtroppo molto sottovalutata era una persona eccezionale ed era anche molto generosa”.
Come è cambiato nel tempo il rapporto critico d’arte gallerista?
“Non esiste più la critica mirata, una volta sui quotidiani esisteva la terza pagina, era dedicata alla cultura, ora sempre più gli articoli di arte sono il copia–incolla dei comunicati stampa, chi li scrive non si sogna di andare a vedere le mostre. Il critico dovrebbe essere militante e confrontarsi sistematicamente con i galleristi. Potendomelo permettere, una mia idea sarebbe quella di affidare per un anno la programmazione della galleria a un critico, in questo modo si misurerebbe la consistenza progettuale e intellettuale del critico”.
Per finire facciamo un gioco: le dico alcuni nomi di artisti e lei di ognun o traccia brevemente un profilo umano e artistico.
Elizabeth Aro “E’ una artista che dovrebbe avere il coraggio di investire di più su se stessa e di conseguenza sul prodotto finale, molte volte si perde su alcuni aspetti che potrebbero essere migliorati”.
José Barrias “E’ un grande personaggio, un uomo di cultura vastissima ed è stato uno dei pochi ad ascoltarmi. Era venuto con una sua idea di mostra e io gliel’ho stravolta poi alla luce dei fatti mi ha dato ragione”.
Federica Marangoni “Bel personaggio, oltre ad essere artista è anche designer, è molto sicura di sé, posso dire che bisticciamo spesso, ci confrontiamo e ci scontriamo poi andiamo d’amore e d’accordo. Federica è diretta, ha il pregio di dire le cose in faccia”.
Altjon Valle “Lo conosco da quando era ragazzino. E’ geniale, il fatto stesso che a 28 anni ha partecipato alla Biennale di Venezia nel Padiglione dell’Albania la dice lunga. Ha l’ablità di trovare i finanziamenti per i suoi progetti. Il suo lavoro è eccezionale, credo che arriverà lontano”.
A questo punto mi dica un artista che non ho nominato e che le farebbe piacere ricordare
“Sono molto legato a Domenico Grenci, dal punto di vista umano è il migliore di tutti. Non stressa, non ha pretese, lavora con impegno e quando ritiene di avere finito ciò che sta facendo mi chiama per un confronto. Non ha timore di mettersi in discussione. Quest’anno in Germania ha avuto un notevole successo, nonostante ciò era dispiaciuto per gli artisti che non avevano venduto, questo la dice lunga sulla sua umanità”.
Al termine dell’intervista ci concediamo un ultimo sguardo all’opera di Maria Lai.
La cordialità dei saluti renderà più lieve la percorrenza di Via Torino.
Mauro Bianchini