In occasione della duplice iniziativa, una mostra permanente e una temporanea, dedicata dal Comune di Viggiù allo scultore Nando Conti (1906-1960), nel centenario della sua nascita, abbiamo chiesto a Marina Degl'Innocenti di delucidarci qualità – e limiti – dell'artista da lei stessa studiato e analizzato nella sua produzione più nota.
Qual'è, in sintesi, la formazione di Nando Conti?
"Nella linea della grande tradizione di mestiere presente a Viggiù, inizia nella bottega di marmista del padre. A diciassette anni si trasferisce a Milano, dove ha modo di assorbire il magistero di due grandi scultori attivi negli anni '20: Adolfo Wildt ed Eugenio Pellini".
Personalità di questo calibro non possono non lasciare traccia…
"E infatti vi sono echi dell'uno e dell'altro nell'opera giovanile di Nando Conti: nel rigore formale, nell'uso della linea si sente Wildt, mentre le teste di bambini richiamano il mondo di Pellini".
E' vero che ha ipotizzato una tangenza con Lucio Fontana?
Sì, ma con il Fontana figurativo degli anni '30, del resto in anticipo di qualche anno su Conti, ma non distante in quel decennio, anzi. Invece non si può tacere la lunga frequentazione, da parte dello scultore di Viggiù, dello studio milanese di Giannino Castiglioni, scultore allora assai in voga, noto per l'enfasi delle sue opere funerarie: un maestro discutibile ma tecnicamente ineccepibile.
Così come ineccepibile appare Nando Conti…
"Assolutamente. Del resto, con l'origine viggiutese e con un pedigree di questo tipo, la conoscenza delle tecniche e dei materiali è fuori discussione. E' anche vero che egli rimase sempre fedele alla figura e alle materie tradizionali della scultura, impermeabile ad altri discorsi".
Stilisticamente, come si configura l'opera di Nando Conti?
"Egli muove da un linguaggio colto, neopurista, a volte con linearismi tardo-simbolisti, evidentemente debitore della scultura del '400 e del '500, con un senso particolare del ritmo. Non conosce invece tentazioni primitiviste, alla Arturo Martini, per intenderci, e finisce, nell'ultimo decennio, con uno stile che pare farsi più secco e incisivo".
In quale genere scultoreo ha maggiormente operato?
"Nella scultura funeraria e in quella sacra, ambiti dove ritroviamo il Conti più ufficiale, che si piega, da eclettico, nel solco di una nobile tradizione, alle esigenze della committenza".
Questo Nando Conti è quello che viene fuori dalla sala permanente a lui dedicata nel Museo degli Artisti Viggiutesi?
"Sì, le oltre venti opere restaurate e riallestite nella nuova sala rendono ragione della fisionomia di uno scultore di buona levatura, scomparso prematuramente e ingiustamente dimenticato dalla critica militante. Nel 1960, il suo bozzetto – in mostra a Viggiù – era tra i primi selezionati nel concorso per la quinta porta del Duomo di Milano, poi realizzata da Minguzzi".
La seconda mostra, questa volta temporanea, di Nando Conti nelle collezioni viggiutesi, sembra quasi rivelare un altro artista…se l'aspettava?
"No, non me l'aspettavo e sono anch'io rimasta sorpresa. In assenza di opere e di documentazione, un'attività così varia e vivace si poteva soltanto sospettare e rivela un artista ancora più interessante. E' indubbio e inevitabile che nei piccoli lavori, svincolati dalla committenza, Nando Conti dimostri una vena più fresca e un modellato più spigliato, con la stupore di ritrovarlo caricaturista, cartellonista e pittore".
Le opere inedite riapparse per l'occasione, porterebbero a riformulare il giudizio sullo scultore?
"No, non credo, perché Nando Conti per primo ha affidato alle opere più ufficiali la sua fama e il suo nome. Certamente, queste nuove opere aiutano nella comprensione a tutto tondo di una personalità sfaccettata. Gli studi sono soltanto agli inizi, auspico che si arrivi alla redazione di un catalogo ragionato di Nando Conti".
Per ora, ci si deve accontentare della sobria pubblicazione a cura di Marina Degl'Innocenti, bene corredata da foto in bianco e nero, spesso d'epoca, comprensiva di un testo storico-critico, nota biografica e bibliografia sull'artista, sinora mancanti. Il volume, che funge anche da catalogo per la sala permanente, è stato reso possibile dal mecenatismo dell'Associazione Amici dei Musei Viggiutesi.
La studiosa, docente di Storia dell'Arte a Gallarate, è specialista di arte lombarda dell' '800 e '900, tra gli altri contributi ha pubblicato nel 1999 un congruo volume dedicato al Guerriero di Legnano di Enrico Butti. Anche per quest'ultima ricerca si è valsa del prezioso materiale documentario di Giampiero Gattoni, depositario di un formidabile archivio sugli artisti viggiutesi.