{"id":12537,"date":"2007-06-28T11:00:18","date_gmt":"2007-06-28T11:00:18","guid":{"rendered":""},"modified":"2007-09-28T12:11:09","modified_gmt":"2007-09-28T12:11:09","slug":"da-bischof-a-mulas-gli-anni-d-oro-della-fotografia-a-varese","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/da-bischof-a-mulas-gli-anni-d-oro-della-fotografia-a-varese\/","title":{"rendered":"Da Bischof a Mulas, gli anni d’oro della fotografia a Varese"},"content":{"rendered":"
Pari dignità<\/strong> – "Perché organizzai mostre di fotografia a Varese? Perché mi piaceva, perchè c'era quell'effetto anticipatore, di sopresa, anche rispetto a Milano, e sopratutto perché volevo che si capisse che era legittimo che la fotografia venisse integrata con pari dignità nei musei alle altre arti visive". <\/p>\n Il borghese illuminato<\/strong> – Ottanta e passa anni, eleganza mitteleuropea, quell'origine veneziana che non si stempera nonostante viva a Varese ormai dall'immediato dopoguerra, Giuseppe Bortoluzzi<\/strong>, notaio e padre di notai, volentieri rievoca l'altro coté<\/em> della sua vità: quello di animatore culturale, di sodale di artisti, di borghese illuminato che si spende in prima persona. Fotografia che passione <\/strong>– Ma c'è un aspetto che forse è ancora rimasto nell'ombra nell'attività di Giuseppe Bortoluzzi, a dispetto di alcuni suoi libri fotografici, per altro usciti per la cura di penne illustri come Carlo Bertelli<\/strong>. Ed è la sua passione per la fotografia; e per la divulgazione della fotografia. E quanto questo secondo aspetto si sia manifestato, in tempi non banali, anzi assolutamente precoci per Varese, in iniziative non certo spendibilissime, ma al contrario di taglio da fine conoisseur<\/em>. <\/p>\n La Gondola <\/strong>– Nel 1957, Bortoluzzi organizza la mostra del gruppo veneziano "La Gondola"<\/strong>, allora allestita all'Ateneo Varesino. "Decisi per La Gondola perché era un gruppo di artisti fotografi veneziani, ed io ero veneziano" è il suo ricordo di primo acchito. "Poi perché in quegli anni arrivò a Varese un giocatore veneziano, Garbosi, e non mi dispiaceva l'idea di unire idealmente la mia passione per la pallacanestro con quella per le foto". Spesso i particolari minuti sfuggono nel racconto a quest'uomo dagli occhi ancora vispi. In soccorso arrivano i documenti d'archivio, conservati gelosamente e la moglie Luciana, vera memoria storica della coppia. <\/p>\n Bischof <\/strong>– Correva l'anno 1958 e dall'alta scuola raffinata de "La Gondola", Bortoluzzi sostenuto dall'allora Ente del Turismo, "sopportato più che aiutato" dall'amministrazione locale, alza il tiro e organizza questa volta a Villa Mirabello una personale del grande fotoreporter svizzero Werner Bischof<\/strong>, morto nel 1954, esponente di spicco di Magnum<\/strong>, tra i maggiori autori di reportage del dopoguerra, e collaboratore di punta di riviste come Du<\/em> e Life<\/em>. <\/p>\n La Fotografia Oggettiva – Una pausa di due anni e poi nell'ottobre del 1960 arriva come un altro fulmine a ciel sereno la Subjektive Photographie<\/em><\/strong>, un centinaio di autentici capolavori in bianco e nero sulla scia della teorizzazione di Otto Steinert<\/strong>, tra le principali teste pensanti nel campo dell'evoluzione dell'estetica fotografica del dopoguerra. Splendido catalogo, stampato da L'ammonitore<\/em>, tuttora esistente; quadrato, copertina nera, scritta scintillante in bianco, all'interno una selezione di una ventina di bianchi e neri tirati a lucido di alcuni dei migliori fotografi della scuola soggettiva: Minor White<\/strong>, Làszlò Moholy-Nagy<\/strong>, lo stesso Otto Steinert<\/strong>, Paolo Monti<\/strong>, tra gli altri. <\/p>\n Primogenitura varesina <\/strong>– "Mostre di richiamo assoluto – si compiace ancora adesso Bortoluzzi – non a pagamento, naturalmente, ma visitate. Senza falsa modestia, ma mi posso attribuire il merito, in quella Varese, tutto sommato ancora chiusa, di aver aperto gli occhi a molti giovani su una fotografia che era ancora qualcosa di sconosciuto". E più di un giovane guardando quelle foto ha intuito che forse quello del fotografo potesse essere un mestiere d'artista e non solo d'artigiano". Mostre di richiamo, le prime in Italia, si può ben dire, grazie anche alla collaborazione di Lanfranco Colombo<\/strong>, il vero nume tutelare della fotografia in Italia, prima ancora che nascesse a Milano la sua galleria Il Diaframma<\/em>. A Varese e a Bortoluzzi, dunque, quel che è di Varese e di Bortoluzzi: una sorta di primogenitura. <\/p>\n Mulas<\/strong> – Poi un periodo di silenzio. Un buco. Il lavoro di notaio, i figli, le proprie fotografie. Ma la passione non scema. Riemerge. E' il novembre 1974 e con un altro sodale di lunga data, il conte Panza<\/strong> allestisce nelle stanze allora ben più segrete di adesso della villa di Biumo una mostra dedicata ad Ugo Mulas<\/strong>, morto l'anno precedente, ma già consacrato tra i grandi maestri del rinnovamento fotografico italiano. <\/p>\n Francesco Paolo Michetti<\/strong> – L'avventura del divulgatore appassionato potrebbe finire qui, con la superba teoria di ritratti di artisti del geniale artista delle Verifiche<\/strong><\/em>. Ma Bortoluzzi, trova il modo di assemblare due anni dopo una preziosa retrospettiva all'interno della Biblioteca Civica dedicata a Francesco Paolo Michetti, artista eclettico, e sperimentatore ardito del mezzo fotografico a cavallo tra Otto e Novecento.<\/p>\n I giovani e la chiocciola<\/strong> – Secondo dinamiche consolidate chi fotografa e cura mostre, solitamente fonda sodalizi: anche Bepi Bortoluzzi ci ha provato, creando un gruppo di amatori della fotografia varesina. Forse è l'esperienza che gli è venuta peggio, o è si è incastrata nella generazione sbagliata. Nessuno degli iscritti nell'atto costitutivo ha avuto fama e gloria. "Ma a Varese è cresciuta una generazione di ottimi fotografi: da Carlo Meazza<\/strong>, a Paolo Zanzi<\/strong>, a Franco Pontiggia<\/strong>, a Vivi Papi<\/strong>, purtroppo questi ultimi due scomparsi. Poi c'è stato l'arrivo di Giorgio Lotti <\/strong>a fare un po' da "chioccia" con la sua esperienza". <\/p>\n Disponibile alla causa<\/strong> – Si sa che Varese, a parte questi episodi di cui il nostro è stato illuminato protagonista, edin altri in tempi più recenti, tentati ma lasciati cadere, non è storicamente terreno fertile per la fotografia. Il materiale ci sarebbe, gli spazi a ben guardare si potrebbero trovare, eppure sembra mancare a livello alto l'interesse, l'impegno, la voglia. Giuseppe Bortoluzzi Pari dignità – "Perché organizzai mostre di fotografia a Varese? Perché mi piaceva, perchè c'era quell'effetto anticipatore, di sopresa, anche rispetto a Milano, e sopratutto perché volevo che si capisse che era legittimo che la fotografia venisse integrata con pari dignità nei musei alle altre arti visive". Il borghese illuminato – Ottanta e […]<\/p>\n","protected":false},"author":1,"featured_media":12538,"comment_status":"closed","ping_status":"open","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":{"footnotes":""},"categories":[230,14,51],"tags":[],"yoast_head":"\n
In imprese che a rileggerle ora hanno il sapore del pionierismo più spinto. Molte sono già state ampiamente storicizzate: come le mostre di scultura all'aperto, o l'esperienza ancor più precoce della libreria-galleria Il portico<\/strong>, con l'amico di una vita Dante Isella<\/strong>. <\/p>\n
Se la chiamassero per organizzare un progetto ex novo in questo ambito cosa risponderebbe?
"Presente". <\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"