{"id":15590,"date":"2008-07-21T10:34:14","date_gmt":"2008-07-21T10:34:14","guid":{"rendered":""},"modified":"2008-09-03T12:14:35","modified_gmt":"2008-09-03T12:14:35","slug":"quelle-mostre-che-cannibalizzano-il-museo","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/quelle-mostre-che-cannibalizzano-il-museo\/","title":{"rendered":"Quelle mostre che cannibalizzano il museo"},"content":{"rendered":"
Il j'accuse<\/strong> – Quasi un de profundiis. Secondo il rapporto recente stilato dall'ICOM<\/strong> (International Council of Museums), per i musei italiani, senza eccezioni di particolare rilevanza, l'invasione delle grandi mostre è direttamente proporzionale ad un generalizzato disinteresse o impotenza delle pubbliche amministrazioni a coltivare il museo come luogo non solo della conservazione della memoria, ma più ancora, della formazione del pensiero, nonché della diversità e delle peculiarità locali. <\/p>\n Il circolo vizioso<\/strong> – Il documento dell'ICOM, l'organizzazione internazionale dei musei e dei professionisti museali, la cui costola italiana è stata fondata nel 1970 da Franco Russoli<\/strong> ed altri professionisti del settore, ha redatto, e fatto sottoscrivere da ANMLIi<\/strong> (Associazione Nazionale Musei Locali e istituzionali), SIMBDEA<\/strong> (Società Italiana Museografia e Beni Demoetnoantropologici), ANMS<\/strong> (Associazione Nazionale Musei Scientifici), AMACI<\/strong> (Associazione Musei Arte Contemporanea Italiani), una serie di considerazioni, puntellate da altrettante raccondamazioni, da inviare a stretto giro di posta ad alcuni soggetti istituzionali e privati, tra cui il Ministero dei Beni Culturali<\/strong>, la Conferenza Nazionale dei Presidenti delle Regioni<\/strong>, il Coordinamento degli Assessori alla Cultura delle Regioni <\/strong>e le Fondazioni ex Bancarie<\/strong>. Il messaggio contenuto è chiaro: le mostre spettacolo creano un circolo vizioso. Sottraggono risorse. Non sempre, come si va ripetendo, creano quell'indotto culturale ed economico, attese su cui si basa la politica delle mostre-show; di frequente, poi, non fungono da volano per incrementare la visibilità dei musei connessi. Lo status del Museo<\/strong> – Trasparenza, inoltre, nei bilanci delle mostre, indagini chiare sul gradimento del pubblico, sull'impatto turistico, economico e culturale delle stesse, chiede l'Icom, memore di autentici bagni di sangue, di imprese espositive che nella maggioranza dei casi succhiano risorse e arrivano lontanamente a soddisfare ragioni di bilancio e di utilità scientifica. E non ultimo che si possa garantire il ruolo status del Museo come depositario di valori non mercantil; evitando situazioni – è di nuovo il caso Goldin, a Verona – per cui dal Louvre<\/strong> sarebbe stato anche possibile ricevere un centinaio di capolavori a fronte di un esborso per il solo affitto di più di quattro milioni di euro. <\/p>\n L'occasione per Varese<\/strong> – Pensare, infine, di pescare in bacino di pubblico ipotizzato in continua espansione, è una illusione. Piuttosto, è sempre il rapporto Icom a rilevarlo, si dovrebbe puntare alla fidelizzazione della customer-base<\/em>, alla personalizzazione del sistema di offerta, alla segmentazione. In questo senso il museo, con la sua attività istituzionale e scientifica, dovrebbe assumere un ruolo ancor più definito. Da preservare, da finanziare, da non penalizzare. Nel suo patrimonio, nella sua attività, nella sua professionalità. Esistono realtà italiane, a dire il vero, in cui le due componenti riescono a convivere. Non è il caso di Varese, dove le grandi mostre non solo è complesso concepirle e metterle in pratica, ma è anche difficile arrivino da fuori. E dove il museo da tempo fa fatica a creare da sè una propria specificità culturale e di ricerca. L'arrivo di nuovo conservatore, nell'ambito del moderno e del contemporaneo, potrebbe essere l'occasione per un cambio di velocità e di tendenza. <\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":" Marco Goldin Il j'accuse – Quasi un de profundiis. Secondo il rapporto recente stilato dall'ICOM (International Council of Museums), per i musei italiani, senza eccezioni di particolare rilevanza, l'invasione delle grandi mostre è direttamente proporzionale ad un generalizzato disinteresse o impotenza delle pubbliche amministrazioni a coltivare il museo come luogo non solo della conservazione della […]<\/p>\n","protected":false},"author":1,"featured_media":15591,"comment_status":"closed","ping_status":"open","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":{"footnotes":""},"categories":[229,51],"tags":[],"yoast_head":"\n
<\/strong>La paralisi temporanea<\/strong> – Un esempio per tutti? Al solito, il fenomeno Goldin. Le cui mostre blockbuster a Brescia nel Museo Archeologico di Santa Giulia<\/strong>, secondo i calcoli presentati da Icom, hanno sì accresciuto la frequentazione del museo, ma solo fino al 2003, facendolo precipitare negli anni successivi a numeri inferiori a quelli di dieci anni fa. L'esempio potrebbe valere anche per altre città. La politica "dell'effimero", delle mostre spettacolo è riuscita, negli ultimi quattro o cinque lustri, a rompere le relazioni con la città e il territorio ospitante, entrando in "una oggettiva quanto impropria competizione". Tra di loro, tra le diverse aspiranti capitali delle mostre dei grandi numeri, ma soprattutto con "le istituzioni museali locali, depotenziandole, mortificandone l'attività e talvolta anche paralizzandole temporaneamente". <\/p>\n