{"id":20568,"date":"2010-01-28T10:09:04","date_gmt":"2010-01-28T10:09:04","guid":{"rendered":""},"modified":"2010-01-29T07:56:02","modified_gmt":"2010-01-29T07:56:02","slug":"sangermani-artista-per-vocazione","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/sangermani-artista-per-vocazione\/","title":{"rendered":"Sangermani, artista per vocazione"},"content":{"rendered":"
Dare l'anima per l'arte<\/strong> – "L'arte è un po' come l'esistenza dell'anima. La si intuisce, la si postula, la si sente. Ma non si può svelare, né definire." Così ha scritto recentemente Giovanni Serafini e noi facciamo nostro l'incipit per tentare una narrazione dell'arte dell'angerese Alessandro Sangermani<\/strong>, che dell'anima e dei suoi tumulti è un ossessionato esploratore, nel senso buono del termine, un artista come lo si legge sui libri di scuola e nei manuali d'arte, figlio del suo tempo instabile eppure sapientemente radicato nella madre post-romantica ed inquieta di tutte le avanguardie, quella nata con l'Impressionismo.<\/p>\n Esploratore<\/strong> – Di avanguardistico Sangermani ha la ricerca: la volontà di scoperta di una linguaggio nuovo e autentico, quella che – Picasso insegna – è una delle radici dei movimenti più artisticamente illuminati del secolo appena trascorso. E' questa ossessione per il linguaggio, la sfida del rinnovarsi e del sapersi raccontare, mettendo al centro la propria individualità, conquistata a fatica sulla vie pericolanti della vita e portata a testimonianza di un successo esistenziale anche se non economico. Ciò ai più risulta particolarmente difficile, sia per l'oggettiva durezza dell'impresa che per l'ostica e costante presenza del "valore di mercato" con la sua ingombrante manipolazione delle leggi dell'estetica, data per compromesso – Warhol insegna – tra capacità di divulgazione dei critici, marketing e successo nella vita mondana dell'artista. Alessandro Sangermani contrappone a questo sistema, l'arte dell'umano, compiendo un lavoro al di fuori del mondo. Io ci credo<\/strong> – Una verità che ritrova radici, abbiamo detto, nell'arte dell'Ottocento e nel Novecento, una fede contingente e tutta contemporanea nella pittura, così come si ha fede nell'anima. Si possono condividere o meno le scelte di fede, si può credere o meno nella spiritualità o in Gesù Cristo come fa Sangermani (o Sangermanj come a volte preferisce firmarsi lui, posponendovi quella "j" che scherzosamente, ma non troppo, associa al nome "Jesus"), resta il fatto importante che si può credere all'artista, quando costui opera con delle scelte estetiche che in realtà sono una scelta di vita.<\/p>\n La mia vita<\/strong> – Una volta era la parte bohèmienne di una figura a tutto tondo, la calcografia o meglio il bozzetto dell'artista post-romantico e decadente. Poi è venuta la recente esperienza in convento e oggi l'isolamento, per puri scopi creativi, in una mansarda. Cera in punta di dita<\/strong> – Sangermani non ama l'arte concettuale ma quella figurativa, però dell'arte elabora un nuovo concetto: lo rivela principalmente la tecnica, segretamente nascosta sotto i suoi paesaggi, quasi esclusivamente lacustri, di casa, del Verbano. Nelle strade<\/strong> – Alessandro, che ha conosciuto a fondo l'inferno, medita ogni ora sul paradiso, ma lo fa come un uomo adulto che dell'inferno ha speso la miglior parte, crescendone in mente e spirito, grazie al serio impegno di un lavoro quotidiano di grande spessore intellettuale e artistico ed una aderenza a quello che la vita, giorno dopo giorno, gli ha chiesto di realizzare.
Lui che dal "bel mondo" delle gallerie è entrato e uscito, che ha voluto sperimentare ogni scheggia del godimento, per alti e bassi, in una storia personale di ascesa e caduta che andrebbe narrata agiograficamente come "exemplum" non per pure questioni di gossip ma per una riverenza verso una scelta ascetica che, ponendo la Fede e l'arte al centro di un cammino incerto ma idealmente deciso da tempo, lo elegge parte in causa nella ricerca di quella Verità che dall'arte sembra scomparsa.<\/p>\n
Ma non per una moda o una superficialità da imitatore: Sangermani va a recuperare quotidianamente il senso ottocentesco e novecentesco della ricerca, dell'arte-vita, della spiritualità inconscia e oscura che tende alla luce, di prima che il boom economico seguito al grande disastro della Seconda Guerra Mondiale spazzasse con una ventata di infantile ottimismo e benessere il male assoluto dal mondo.<\/p>\n
Cinque, sei, otto, nove quadri "sbagliati" sono la base d'impasto di pastelli a olio che fa da sfondo alla superficie che sorregge gli scorci che poi osserviamo pacatamente rilassati, luminosi e potentemente sintetici.
Ogni tavola di cartone è impregnata di segni, di rifacimenti, di meditazioni, ogni volta un quadro viene cancellato da quello che viene sopra fino a che, purificazione per purificazione, non emerge la superficie definitiva. I segni restano, come rughe sul volto, come strati dell'inconscio che emergono in ogni tratto.
Sulla superficie i colori degli altri disegni galleggiano, restano a definire il significato del lavoro: qui si fa pura archeologia del segno.
L'artista – uomo contemporaneo – sente di aver ricevuto in eredità fin troppo dal passato e adesso vorrebbe solo trovare un modus vivendi che permetta di contemplare in pace il paesaggio e la sua luce, e perché no, anche le sue rovine.
Come a dire, ecco il punto di arrivo: la pace del Maggiore è bellezza resuscitata, degna, meritata, ma sotto ad essa s'agita il lago, con i suoi morti e i suoi dispersi, le sue vite sbagliate e ricucite. Quale più serio e realistico messaggio di speranza.<\/p>\n
Andatelo quindi a cercare nei mercatini sul suo lungolago, ad Angera e in tutti i comuni della "sponda magra", lontano dalle gallerie, in mezzo al flusso dei passanti, di chi tra un ferrovecchio, un croccante e un marzapane passeggia intensamente distratto, passando senza scomporsi di fronte alla sua arte con la "a" maiuscola, non sapendo chi ha veramente davanti, perché sotto il paesaggio si nasconde il dolore così come sotto ogni faccia c'è un racconto. Che si rivela soltanto a chi, preso da chissà quale bisogno, è capace di fare le giuste domande.